Diretto da Mario Vitale, giovedì 4 novembre uscirà al cinema L’Afide e La Formica, un film che nasce dall’esigenza di raccontare la Calabria, ma che diventa a tutti gli effetti un delicato discorso sull’integrazione e sull’identità. Principali protagonisti sono Cristina Parku, Alessio Praticò, Giuseppe Fiorello e Valentina Lodovini.
Il film
Fatima (Cristina Parku) ha 16 anni e indossa il velo. La sua cultura lo prevede, e sua madre Amina glielo impone. Nata in Calabria da genitori musulmani, la ragazza vive tutti i conflitti e le emozioni tipiche della sua età, ma sente di non essere come i suoi coetanei: è chiusa nella sua solitudine, costantemente fuori posto. Finché un giorno l’insegnante di educazione fisica, Michele Scimone (Giuseppe Fiorello), non propone ai suoi studenti di iscriversi alla Maratona di Sant’Antonio. Per Fatima è la prima vera opportunità da cogliere. Ma per l’insegnante, ex corridore schivo e depresso, tormentato da un passato irrisolto e da una relazione fallita con Anna (Valentina Lodovini), il velo che Fatima indossa è motivo di pregiudizio. Sarà l’inizio di un rapporto che cambierà le loro vite, mentre la corsa riuscirà a renderli entrambi liberi.
Mario Vitale racconta…
“L’idea che sta alla base del film nasce dall’esigenza di raccontare la Calabria, da sempre terra di contaminazioni, con un approccio innovativo e originale e allontanandosi il più possibile dai cliché cinematografici che dipingono questa regione come una terra disagiata. Partendo da un contesto reale e da avvenimenti che ogni giorno balzano alle cronache nazionali, ho cercato di sviluppare una storia che toccasse temi ancora troppo poco esplorati, soprattutto in ambito cinematografico, come l’integrazione e l’identità. Ho scelto di puntare il focus sulle nuove generazioni di calabresi, gli immigrati di seconda generazione, figli cioè di immigrati stanziali che hanno deciso di rimanere in Calabria e che hanno assunto una rilevanza sempre maggiore da un punto di vista demografico, ma anche economico e occupazionale, cercando di interpretare il fenomeno come momento di crescita, non soltanto sociale o culturale, ma anche e soprattutto umano. Ho provato a raccontare l’affascinante universo di un’adolescente immigrata, in maniera schietta, diretta e sincera. Fatima diventa così il simbolo di un desiderio di appartenenza e integrazione di tutta una generazione di nuovi immigrati”.