Teatro civile, politico, di poesia. La tenerezza e l’amore per gli esseri umani costretti dalla povertà e dalla sofferenza a divorarsi gli uni con gli altri, ma sempre raccontati con lo sguardo tenero e buffo di chi comprende. Dall’11 al 16 gennaio al Teatro della Pergola di Firenze Monica Guerritore riporta in scena L’Anima Buona di Sezuan di Bertolt Brecht nella versione che nel 1981 la vide protagonista diretta da Giorgio Strehler.
Lo spettacolo
Nella capitale della provincia cinese del Sezuan giungono tre dèi alla ricerca di qualche anima buona e ne trovano solo una nella prostituta Shen Te, che accorda loro ricovero per la notte. Il compenso per tale atto di bontà è una tonda sommetta, mille dollari d’argento, ossia, per Shen Te, la possibilità di vivere bene. Ma il compenso è accompagnato dal comandamento di continuare a praticare la bontà. La povera Shen Te apre una tabaccheria e si trova subito addosso uno sciame di parassiti, falsi e veri parenti bisognosi, esigenti fino alla ferocia, da cui Shen Te è costretta a difendersi. Per farlo, una notte, si traveste da cugino cattivo e spietato con tutti ma poi ama… debolezze tu non avevi. Io si… una… amavo.
Monica Guerritore racconta…
“Riporto in scena L’Anima Buona nella versione di Giorgio Strehler. Il grande testo di Brecht ha visto nella versione scenica di Strehler lievitare la sua anima incerta e umana e oggi raccontarci nel nostro scoprirci un popolo dalle maschere di cattivi. Mi misuro con il passato per togliergli, come dice Pirandello nei Giganti «l’impalbabilità del non-essere». E non ho paura. Poggio sulle spalle di un gigante. I grandi testi sono immortali germinatori di nuove visioni, versioni, a indicare il tempo in cui vengono letti compresi e rieleborati, ma le versioni sceniche che, come nel caso di Strehler, hanno la grandezza di un’opera d’arte si perdono. Mentre oggi quella versione di Strehler è lo specchio di quello che stiamo diventando. Nell’Anima Buona c’è tutta la tenerezza e l’amore per gli esseri umani costretti dalla povertà e dalla sofferenza a divorarsi gli uni con gli altri, ma sempre raccontati con lo sguardo tenero e buffo di chi comprende”.