Il film tedesco Lebendig (Vivi) è stato votato dal pubblico come Miglior Film ai MIFF Awards 2020. Drammatico e intimo, il tributo alla vita del tedesco Michael Siebert, dopo aver regalato il Cavallo a Wolfram Rupperti come Miglior Attore, si porta a casa il premio più ambito con la celebrazione dell’amore come unica cura di fronte alla morte.
Primo lungometraggio del quarantenne Michael Siebert, Lebendig (Vivi) si è fatto notare con un elenco notevole di premi già vinti a livello internazionale e ha conquistato uno schermo nel programma virtuale dei vincitori del Cavallo di Leonardo che per la prima volta ha presentato il lungometraggio al pubblico italiano. Premiato con la statuetta per la Recitazione Maschile (Wolfram Rupperti), con la forza dei valori umani più puri e con un minimalismo vitale di relazioni umane pregnanti di verità, ora Vivi lascia unimpronta nellalbo doro 2020 del Cavallo di Leonardo Da Vinci.
La storia tocca nel profondo. Ruota intorno ad un quesito che tutti siamo chiamati ad affrontare: il nostro rapporto con l’idea di morte. Per i due protagonisti, però, la questione diventa improvvisamente urgente: un tumore in fase terminale li sta uccidendo entrambi. I due amanti sono allora chiamati a rispondere ad una domanda ancora più scomoda, quella di come affrontare gli ultimi giorni della loro vita. Si amano da poco, e poco è il tempo che a loro rimane. Questa fretta non intacca però il valore dei loro ultimi momenti, che trascorrono nella tranquillità dell’appartamento di lei. Sono momenti lenti, delicati, pieni, la cui amarezza è stemperata dalla dolcezza di un amore paziente che cresce con la stessa calma curiosa con cui crescono tutti gli amori, anche quelli di chi pensa di avere tutta la vita davanti.
Per questo Lebendig colpisce, con un titolo che si traduce dal tedesco con l’aggettivo “vivi”, anche se forse si dovrebbe parlare di “Lebend”: “vivente”. Più che lo stato dell’essere in vita è qui infatti l’atto del vivere ad essere celebrato, il participio presente di una condizione che si esaurisce nell’attimo in cui la si esperisce, ma che proprio per questa precarietà è così pura. Un inno alla vita che va goduta fino a quando la si possiede, fino a quando si è participio presente.