Oggi ricorre il 21 anniversario dell’arresto a Palermo del boss di Cosa Nostra Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina e responsabile di crimini efferati, condannato all’ergastolo in regime di massima sicurezza. È su questo fatto che si sviluppa Lo Scambio, il film scritto e diretto da Salvo Cuccia, già in concorso al 33° Festival di Torino e dal 23 giugno in sala. Tre dei personaggi principali interpretati da Filippo Luna, Barbara Tabita e Paolo Briguglia rappresentano il cuore, la mente, la coscienza di ciò che avviene.
La storia si svolge in un giorno, nel 1995, in una Palermo plumbea. Personaggi senza nome scivolano verso il loro destino. Una coppia inizia una giornata anomala. Lei (Barbara Tabita) è una bellissima quarantenne tormentata dal pensiero dei bambini mai avuti. Lui è un commissario di polizia (Filippo Luna) che sembra prendersi cura di lei, ma è totalmente preso dal suo lavoro. Ha un autista (Paolo Briguglia) che lo porta dappertutto, anche a interrogare un ragazzo che conosceva altri due uccisi quel giorno. L’autista non crede che il ragazzo sia coinvolto, ma il commissario va avanti in maniera decisa ed esasperata. Lei vaga per le stanze di una casa linda che riflette la sua condizione apparentemente normale ma che sotto cela tutta la sua disperazione.
Si alternano i volti, i corpi, le situazioni, tra il mondo di lei, quello di un bambino rapito dalla mafia tempo prima e quello del ragazzo che subisce l’interrogatorio del commissario e dei suoi uomini alquanto rudi. Poi gli eventi precipitano e tutto si evolve, aldilà delle apparenze, svelando gli inquietanti contorni di una storia fatta di cause ed effetti, in cui i crimini perpetrati si ripercuoteranno non solo su chi li subisce, ma anche su chi li compie. E da cui nessuno, in un modo o in un altro, rimarrà immune.
Vi lasciamo ora alle note di regia di Salvo Cuccia.
La Genesi – “Il soggetto del film è nato in seguito ad alcuni incontri con Alfonso Sabella, il magistrato che negli anni ’90 era stato nel pool antimafia di Giancarlo Caselli subito dopo le stragi di Falcone e Borsellino e delle loro scorte. In particolare mi appassionò la storia di tre ragazzi uccisi dalla mafia di cui due con assoluta certezza non avevano a che fare con la criminalità. Fatto questo che smentiva ciò che la gente assoggettata alla mentalità mafiosa ha da sempre diffuso come una favola: cioè che la mafia perpetrava i suoi crimini senza commettere errori. E invece questi fatti, un forte boomerang per la mafia, dimostravano il contrario”.
“Circondate da un’aura di silenzio e spesso dimenticate, molte vittime erano morte senza avere nessuna responsabilità o coinvolgimento in fatti di mafia. La mia indagine da profano si allargò anche ai carnefici e alle loro vite. Le storie vere contenevano già una drammaturgia e un senso compiuto come storie morali, fatte di cause ed effetti. L’obiettivo era realizzare un film in cui non vi fosse nessuna possibilità di transfert con il criminale. Ci tenevo molto a raccontare dei fatti realmente accaduti estrapolandoli dalla cronaca e trasporli in una dimensione di finzione, di puro cinema, di dramma. I concetti di “mafiosità” sono assorbiti dal silenzio, dall’oscurità o dall’ambiguità sia dei personaggi, sia dei luoghi, che subiscono delle trasformazioni. Tutto ciò per arrivare allo scopo ultimo: raccontarne l’essenza”.
Tematiche – “Il film è basato su fatti realmente accaduti a metà degli anni ’90. Tre dei personaggi principali rappresentano il cuore, la mente, la coscienza (lei, lui, l’autista). Il tema principale sembra essere la quotidianità di una coppia in un contesto di criminalità, in una “silenziosa e asettica normalità”, che ricalca i comportamenti di una qualsiasi anonima coppia di sposi. Ad esso si sovrappone il tema della violenza che produce i suoi effetti collaterali e il conseguente sacrificio di innocenti.
L’apparenza si dissolve per lasciare posto alla crudezza di ciò che si cela dietro ogni azione e comportamento dei personaggi, che vivono in un mondo loro, anche se perfettamente mimetizzati nel contesto urbano e sociale. E poi c’è anche il tema del doppio che va oltre l’apparenza: tutti i personaggi hanno un doppio (che a volte si riflette anche nell’immagine). Anche gli uomini del “commissario” e anche il ragazzo che viene sottoposto all’interrogatorio hanno i loro doppi, che vengono fuori via via che la storia va avanti. Forse in fondo quella che non ha un vero doppio è lei, l’unica donna presente nella storia, ma solo perché vive nella solitudine di una casa che ne incarna l’anima”.
Lo Stile – “Il film vuole essere una storia morale in cui si instaura un rapporto di causa ed effetto tra gli accadimenti, a volte labile e appena percepibile, ma in cui tutto sembra rispondere ad una legge del contrappasso. Una storia raccontata in uno stile grafico essenziale e netto, emotivamente analitico, in un’atmosfera lontana dai cliché della Sicilia e della criminalità, con caratteristiche visive intrise di una freddezza nordica. I personaggi sono seguiti da molto vicino. I loro dialoghi scarni, i loro movimenti mirano a rappresentare una profonda interiorità del male, piuttosto che non una mera riproduzione di situazioni e luoghi. Uno stile che più si addice ad un narrato concepito matematicamente nelle scelte dei personaggi e nella essenziale espressione dei loro visi e dei loro corpi. Un inaspettato e drammatico apologo in cui la natura dei personaggi viene celata, a partire dal fatto che nessuno ha un nome”.