Tratto dal bestseller L’Incredibile Viaggio del Fachiro che Restò Chiuso in un Armadio Ikea di Romain Puèrtolas (edito da Einaudi, lo trovi QUI), mercoledì 4 luglio esce al cinema L’Incredibile Viaggio del Fachiro, il film diretto da Ken Scott interpretato da Dhanush, Berenice Bejo, Erin Moriarty, Barkhad Abdi e Gérard Jugnot.
Dopo la morte della madre, l’indiano Aja (Dhanush) parte per Parigi sulle tracce del padre mai conosciuto prima, un prestigiatore parigino recatosi in India ad imparare l’arte dei fachiri. Giunto a destinazione, si rifugia in uno store Ikea affascinato da questo strano mondo così distante dalla sua India. Da qui, inizieranno una serie di disavventure che lo porteranno a girare l’Europa e a trovare l’amore della sua vita. Questa è la storia di come un semplice viaggio può diventare straordinario.
Lasciamo spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata da Ken Scott.
Come è nato il tuo interesse per L’Incredibile Viaggio del Fachiro?
Il produttore Luc Bossi era al Festival di Cannes e mi ha cercato per sapere se ero disponibile per un progetto che stava sviluppando. Mi ha inviato il libro e la sceneggiatura, di cui ho particolarmente apprezzato il tono della narrazione. Sono stato colpito anche dall’umorismo e dalla storia d’amore, ma specialmente dal fatto che si trattasse, prima di tutto, di un film d’avventura. Dopo aver letto il romanzo e la sceneggiatura ne ho parlato con Luc e ho sentito la necessità di riscrivere alcune scene affinché il film corrispondesse all’idea che mi ero fatto. Devo dire che ho molto apprezzato il fatto di poter rendere mio il progetto, anche se in realtà sono stato guidato dal romanzo stesso e di base ho sviluppato aspetti che erano già presenti nel libro.
Questa storia presenta una straordinaria dimensione picaresca…
Sì, assolutamente, la vedo come una fiaba. E in realtà, nel corso della riscrittura della sceneggiatura e delle riprese, ho fatto in modo che questa dimensione fosse percepita. Si tratta inoltre della storia d’iniziazione di un giovane indiano di Mumbai, che non ha mai visto niente al di fuori del modesto quartiere in cui è nato. I suoi orizzonti si espanderanno nel corso del film ed è stato emozionante esplorare questa evoluzione dal punto di vista cinematografico.
Pur essendo una fiaba, il film tratta anche la questione dei migranti…
A mio avviso non si tratta di un film politicamente impegnato. Sicuramente si parla di movimenti migratori, ma in una prospettiva umanista più che politica. Di certo, guardando questi migranti nella loro quotidianità, lo spettatore potrà sentirli più vicini e riflettere sugli aspetti in comune. E se dopo aver visto il film se ne va via con questo stato d’animo, credo che sarà stata una nostra piccola vittoria.
Ti sei ispirato a qualche libro o film?
Sono stato ispirato soprattutto dal romanzo di Romain Puértolas, che è molto denso. L’ho sentito molto vicino a me, una storia che combina comicità e fantasia. Mi hanno poi ispirato film come Oltre il Giardino di Hal Ashby, Fuori Orario di Scorsese, La Vita è Bella di Roberto Benigni. Prima delle riprese ho voluto anche rileggere Candido di Voltaire e l’Odissea di Omero e visto che si tratta essenzialmente di un film d’avventura, ho rivisto alcuni film di Spielberg che mi piacevano per l’atmosfera.
Qual è lo stile visivo che hai scelto per il film?
In primo luogo lo stile è determinato dal fatto che si tratta di una fiaba. Poi, visto che nel corso del viaggio del protagonista si passa da un paese all’altro, ognuno dei luoghi attraversati doveva avere una sua identità visiva specifica. Per questo motivo ho ripreso ogni paese in modo diverso, lasciandomi influenzare dall’atmosfera, dai paesaggi e dalla cultura del posto. Era fondamentale che, nel corso del film, lo spettatore percepisse mondi diversi, che fosse uno spettacolo di danza in puro stile bollywoodiano, di uno show musicale alla Monty Python in Inghilterra o di un inseguimento ad alta velocità in Italia sulle note di una melodia alla Nino Rota.
Cosa vorresti che il pubblico portasse con sé di questo film?
Come prima cosa vorrei che si divertisse, perché stiamo parlando innanzitutto di una forma di intrattenimento. Ma questo film parla anche di immigrazione e, pur non presentando soluzioni pronte, spero che possa offrire spunti di dibattito e discussione.