Basato sull’omonimo romanzo di Chantal Thomas, giovedì 5 agosto – distribuito da Movies Inspired – nelle nostre sale arriverà Lo Scambio Di Principesse, il film diretto nel 2017 da Marc Dugain con protagonisti Lambert Wilson, Anamaria Vartolomei, Olivier Gourmet e la nostra Maya Sansa.
Il film
1721. Un’idea audace germoglia nella mente di Filippo d’Orléans (Lambert Wilson), reggente di Francia: Luigi XV (Igor van Dessel), 11 anni, sta per diventare re e uno scambio di principesse permetterebbe di consolidare la pace con la Spagna dopo anni di guerra che hanno stremato i due regni. Fa così sposare sua figlia, Mademoiselle de Montpensier, 12 anni, con l’erede al trono di Spagna, mentre Luigi XV deve prendere come moglie l’infanta di Spagna, Anna Maria Victoria (Juliane Lepoureau), più grande di quattro anni. Ma la precipitosa entrata in scena nella corte dei grandi di quelle giovani principesse, sacrificate sull’altare dei giochi di potere, avrà la meglio sulla loro spensieratezza. Di seguito, riportiamo un estratto delle interviste realizzate da Claire Vassé a Marc Dugain e Chantal Thomas.
Marc Dugain
Per la prima volta mette in scena un libro di qualcun altro. Cosa l’ha spinta ad adattare Lo scambio di principesse di Chantal Thomas?
Sono attratto dalla Storia. Questa, in particolare, mi era ancora più vicina perché da bambino leggevo molti libri sul XVIII secolo. L’episodio dello scambio delle principesse è davvero originale, soprattutto per il trattamento riservato ai bambini, la crudeltà nei loro confronti. E per il modo in cui cercano di uscirne. Tutto ciò non è così distante dal mio universo abituale, ampiamente immerso nella manipolazione politica. Anche questi bambini sono letteralmente manipolati – da degli adulti che, a loro volta, non sono veramente degli adulti. I giovani aristocratici principeschi venivano cresciuti nello splendore ma, al tempo stesso, restavano legati a una condizione abbastanza infantile: quella di bambini che giocano alla guerra perché non hanno nient’altro da fare. E questo spiega in parte il declino della monarchia. Nel film si vede bene che essa è già agonizzante.
Sin dall’inizio, il film si apre sulla fine di un mondo, dove la morte è onnipresente, in una Versailles in rovina.
Desideravo fare un film dove il rapporto con la precarietà avesse un ruolo fondamentale. Nel XVIII secolo la pervasività di epidemie come la peste o il vaiolo determinava un raporto con la vita molto particolare. La probabilità non era di vivere almeno fino a settant’anni, come oggi, ma di morire prima dei trentacinque. Tale costante minaccia della morte spiega inoltre l’importanza della religione, che offriva un legame tra la vita eterna e una vita terrena così effimera… Filippo V dice all’infanta che la vita e la morte non sono che una sola e stessa cosa. Si tratta di un concetto che sta alla base della religione, per rassicurare i viventi di fronte alla morte. Mi piaceva mostrare un simile terrore davanti alla presa di coscienza che si è mortali, tappa costitutiva dell’infanzia. Luigi XV è un bambino la cui famiglia intera è scomparsa a causa del vaiolo. Vede morire tutti quelli che gli stanno intorno: il bisnonno, il nonno, il padre, la madre, il fratello… E, nonostante questa terribile mancanza affettiva, gli si chiede di diventare re, trovandosi investito di una funzione che comincia a ricoprire maldestramente e che finirà per occupare appieno.
Una frase che egli dice al reggente riassume la complessità del suo rapporto con la carica di re: «Alla vigilia della nostra maggiore età noi ordiniamo di non dormire soli».
Il film racconta la nascita di un re: come un bambino orfano e malato, con il legame un po’ ridicolo del sangue, si trovi improvvisamente investito della funzione reale, scoprendo il mondo attraverso un prisma che è quello del potere assoluto e comprendendo, allo stesso tempo, che lo si fa re solo per farlo obbedire. Il giovane Luigi XV è impacciato e indeciso. Quando gli si chiede di prendere delle decisioni diffida, scruta gli sguardi, risponde appena. Volevo mostrare questa sfaccettatura del potere reale, la difficoltà per un bambino di farsi carico di una tale responsabilità. Luigi XV è scavalcato dal suo ruolo, ma lo assume anche, talvolta con durezza. Quando si trova in barca con l’infanta e le dice «Signora, non vi si vede crescere», d’improvviso egli è nella funzione di riproduzione, nel senso regale del termine.
I bambini sono coinvolti in un complotto cinico, ma si dibattono con nobiltà, assumono il loro destino…
Non umilio mai i miei personaggi, non posso, non fa parte di me. Mi piacciono i film dove i personaggi posseggono una loro altezza. Non siamo obbligati a focalizzarci su un’umanità che sprofonda, già così sprofonda fin troppo! I bambini rimangono in piedi e degni, ma non sono per questo meno vittime della loro eredità decadente. È l’intera questione del determinismo: in quale misura ci si può esimere dalla propria educazione e tirarsi fuori da dove si è stati gettati fin dall’infanzia? Il fatto di opporsi drammaticamente alla propria infanzia significa già integrarla. Per quei bambini uscirne è quindi estremamente complicato, in particolare per Luigi XV, che ha un’unica soluzione: diventare re poiché è nato per diventarlo. Lo accetta e lo diviene.
Chantal Thomas
Come è venuta a conoscenza di quel sorprendente scambio di principesse?
Dalle Memorie del duca di Saint-Simon. E perché, nel mio romanzo precedente Le testament d’Olympe, la questione di Luigi XV era già presente. Avevo letto parecchie biografie su di lui dove si diceva, tra le righe, che all’età di 11 anni era stato dato in sposo all’infanta di Spagna, Anna Maria Victoria, più grande di quattro anni. Sotto l’Ancien Régime, i matrimoni politici o diplomatici erano correnti. Servivano talvolta ad appianare antichi rancori tra dei popoli. La sorte delle principesse coinvolte era abbastanza terribile perché erano delle rappresentanti di quel passato di guerra – una sorta di ostaggi. Nel caso di Anna Maria Victoria e Luigi XV l’elemento straordinario è costituito dalla loro giovane età. È questo che mi ha colpita…
In effetti per noi oggi stupisce vedere un’infanzia sacrificata in tal modo, un’infanzia dalla quale emerge già una maturità di persona adulta.
Del resto quei bambini sono dei giocattoli, degli strumenti all’interno di piani politici che li scavalcano completamente. Ciò che mi ha appassionata è stata quest’altra visione dell’infanzia, questo altro rapporto con il corpo, il tempo, la morte. Da un lato, sono dei bambini del tutto innocenti, come testimoniano le lettere di Madame de Ventadour, la governante della piccola infanta; dall’altro, a partire dal momento in cui suo padre le annuncia che è destinata a diventare la regina di Francia, la figlia prende sul serio il suo ruolo. Come Luigi XV, è allo stesso tempo manipolata e sovrana. Penso che oggi facciamo ancor più fatica a comprendere quella maturità perché ci troviamo in un processo inverso: l’infanzia si allunga, spesso fino all’adolescenza che, essa stessa, si protrae all’infinito, rimandando l’età in cui si prendono delle decisioni adulte. A quell’epoca, l’infanzia era una fase pressoché inesistente. E ciò accadeva in tutte le classi sociali.
Secondo lei, questa storia possiede una dimensione di attualità?
Sì, nel trattamento riservato ai bambini. Oggi, si dice ovunque che la loro felicita è un obiettivo, ma penso che spesso i bambini continuano a essere una posta in gioco in una strategia decisa dai genitori, delle pedine nella confusione dei loro sentimenti. Le cose non si svolgono più a
livello politico, ma familiare. E anche economico, perché ciò che è stato scoperto negli ultimi decenni è che il bambino rappresenta un mercato, una ricchezza di consumo da sfruttare. E se si estende il dibattito oltre la nostra cultura, l’attualità bruciante di questa storia è il matrimonio forzato, consentito in interi continenti. Ci si indigna di tali orrori praticati nel XVIII secolo, ma che dire di quel che accade oggi in Africa, in India o in Afghanistan a milioni di donne? Bambine o ragazzine trattate come dei beni appartenenti ai genitori, che ne fanno
ciò che vogliono, sono un abominio di estrema attualità.
E il modo in cui la politica non è altro che intrighi e manipolazioni…
Durante l’Ancien Régime la politica si praticava tra famiglie. I sovrani erano tutti, più o meno, cugini o fratelli – e ciò spiega lo sconcerto di Maria Antonietta, al momento della rivoluzione, rispetto alla nozione di nazione! Una tale dimensione familiare è scomparsa dalla nostra politica. Anche se… se si legge Ils vont tuer Robert Kennedy, l’ultimo libro di Marc Dugain, si scopre la storia straordinaria di un clan, fatta di prossimità tra due fratelli, angoscia del complotto, maledizione su una famiglia, in un paese pare così vasto e moderno… Quando abbiamo lavorato alla sceneggiatura, Marc non aveva ancora scritto quel romanzo, ma ora che l’ho letto comprendo meglio il suo immaginario, il suo senso dell’analisi, della proiezione fantasmatica e anche quasi poliziesca: nel cuore del Potere regnano le tenebre. Anche Lo scambio di principesse si sviluppa nel cuore delle tenebre, ma ciò che rende questa storia stranamente luminosa sono i quattro bambini, re e regine loro malgrado.