Dal 20 maggio IWonderfull, la piattaforma digitale di I Wonder Pictures, esplora il meraviglioso mondo del genio e della sregolatezza con Lo Sguardo di Orson Welles dil documentario diretto dal regista irlandese Mark Cousins. Un film che offre un’interpretazione visionaria della carriera, della vita, delle passioni, della politica e del potere di Orson Welles, artista e showman tra i più versatili e innovativi del ventesimo secolo.
Orson Welles è una delle icone più rilevanti del ventesimo secolo, sullo schermo e sul palcoscenico. I suoi film, come regista e attore, Quarto Potere, L’Infernale Quinlan, Falstaff solo per citarne alcuni, sono tra i più grandi e innovativi mai realizzati. Welles era un genio che frequentava presidenti, faceva campagne di politica progressista e ha avuto come amanti le donne più belle del mondo. La sua figura, tra le più famose degli ultimi cento anni, può essere paragonata a quella di Picasso, Chaplin e Marilyn Monroe. Ma uno degli aspetti della sua vita non è mai stato discusso. Come Akira Kurosawa e Sergei Eisenstein, Welles amava disegnare e dipingere e da bambino prodigio, si è formato innanzitutto come artista.
Ma un solitario viaggio in Irlanda durante l’adolescenza ha portato la sua carriera verso una direzione completamente nuova. Si è fatto strada sul palco del Dublin’s Gate Theatre e lì ha ottenuto un immediato successo. Eppure Welles ha continuato per tutta la vita e per piacere personale a disegnare e dipingere e il suo cinema rivoluzionario, così come i suoi lavori teatrali, sono stati profondamente influenzati dalla sua immaginazione grafica. Quando morì, più di 30 anni fa, lasciò centinaia di schizzi, scenografie, idee di progetti mai realizzati, illustrazioni per intrattenere i suoi figli e amici, scarabocchi ai margini di lettere personali e ritratti delle persone e dei luoghi che lo ispirarono. Dalla sua morte molti di questi sono conservati e un gran numero non è mai stato reso pubblico.
Ora, per la prima volta, la figlia di Welles, Beatrice, ha concesso a Mark Cousins l’accesso a questo tesoro di immagini al fine di realizzarne un film. Questi disegni e dipinti sono una finestra sul mondo di Welles e una vivida illustrazione della sua creatività e del suo pensiero visivo. Lo Sguardo di Orson Welles è un film per il cinema che si allontana dalle tecniche dei convenzionali documentari per la televisione. Cousins presenta nuove scansioni digitali delle opere d’arte e animazioni realizzate appositamente, che danno vita in maniera limpida alla magia del mondo grafico di Welles. Le animazioni (realizzate dal grafico Danny Carr) sono intervallate da clip tratte dai film di Welles, registrazioni di programmi radiofonici e interviste televisive di Welles e incontri con Beatrice Welles, che raccontano le storie dietro alle immagini. La colonna sonora originale di Matt Regan dà al film emozione ed espressività. Il titolo musicale è il famoso Adagio di Albinoni, un cenno al fatto che Welles sia stato il primo regista ad usarlo per la colonna sonora del suo film, Il Processo, adattamento del romanzo di Kafka.
Il film è raccontato in tre atti centrali – Pawn, Knight e King – con un epilogo sul tema di Jester. La sequenza Pawn guarda alla politica di Welles, alla sua simpatia per la gente comune, a quelle immagini che riguardano la modestia degli esseri umani – bambini, persone oneste che non sono in posizioni di potere. La sezione Knight esamina l’ossessione di Welles per l’amore, le sue storie d’amore con donne del calibro di Dolores del Rio e Rita Hayworth, e il suo attaccamento donchisciottesco a ciò che lui stesso considerava l’ideale cavalleresco antiquato.
La sezione King esamina il fascino di Welles per il potere e la sua corruzione, attraverso illustrazioni che trattano di figure come Macbeth, Henry V, Kane e Welles stesso – l’epica degli esseri umani, i legislatori e gli usurpatori. L’epilogo Jester, infine, analizza le immagini sul divertimento e sulla beffa, con un sorprendente intervento dello stesso Orson Welles.
Cousins viaggia anche attraverso i luoghi chiave della vita di Welles – New York, Chicago, Kenosha, Arizona, Los Angeles, Spagna, Italia, Marocco, Irlanda – per catturare quelle immagini che sono state rilevanti per individuare le sue opere d’arte e che contribuiscono alla narrazione di alcuni dei momenti della carriera e della vita personale di Welles. Mark ha girato il film con due camere palmari, una minuscola videocamera HD e una videocamera 4K che offre un nuovo “stile steadicam” per la carrellata senza la necessità di binario o dolly. È il tipo di tecnologia che Welles avrebbe amato e che avrebbe potuto solo sognare in una vita di continua lotta con i limiti creativi e finanziari delle tradizionali tecniche di produzione cinematografica. Questo stile di ripresa riflette l’immediatezza degli schizzi e dei dipinti di Welles nel loro rapido coinvolgimento con il mondo visivo.
Questo film-saggio è molto più di disegni e dipinti. Proprio come gli album di schizzi di Leonardo Da Vinci che mostrano le sue passioni, i suoi cambiamenti mentali, i suoi pensieri e il suo pensiero visivo, questo film è un incontro con l’immaginazione di un grande artista profondamente politico, impegnato con domande su potere, esistenzialismo, memoria, destino, filiazione, psicologia, spazio e luce, che rivoluzionò il cinema. Questi ingredienti rendono Lo Sguardo di Orson Welles non solo un ritratto di un grande uomo, ma un racconto del XX secolo, e una meditazione sulla costante rilevanza del suo genio in ciò che Mark descrive come tempi wellesiani.
Mark Cousins racconta:
“Non volevo fare un film su Orson Welles. Nel mio lavoro ho cercato di guardare più al cinema africano o indiano rispetto ai film americani: Guru Dutt, piuttosto che Orson Welles (anche se hanno molto in comune). Ma poi ho sentito che esistevano ancora molti disegni e dipinti di Welles. Ero incuriosito. Mi piace il concetto del “tempo libero” dedicato agli schizzi, al prendersi del tempo sbarazzandosi dello stress concentrandosi su altro. Dal momento che Lo Sguardo di Orson Welles è stato pensato per il cinema (così come per la TV), ho voluto evitare di usare gli archetipi televisivi, come quello del presentatore. Troppo spesso ho avuto la sensazione che fossero d’intralcio. Valuto quello che hanno da dire ma non ho il bisogno di mostrarli mentre parlano“.
“Avevo necessità, allo stesso tempo, di essere più innovativo nella scrittura del film, così ho deciso di costruire l’intera sceneggiatura come una lettera ad Orson Welles piuttosto come una presentazione al pubblico. Con una lettera lo spettatore potrebbe, forse, spero, avere la sensazione di stare origliando. E le lettere hanno, per questo motivo, un altro tono e un altro tipo di intimità, registro e sentimenti“.