Il documentario
Lockdown – Le Voci Della Città racconta il dramma legato all’epidemia del Coronavirus attraverso un susseguirsi caleidoscopico di storie e testimonianze di cittadini comuni che per troppo tempo hanno dovuto subire impotenti – pro bono pacis – la voce monocromatica dell’Autorità. Un viaggio nell’intimità di ognuno di noi, un’indagine sociale che mira a svelare le trame che compongono l’intelaiatura di questa reclusione anomala andando a scavare dentro le paure, le ansie e le speranze. Giancarlo Cutrona e Giampiero Ganci si sono posti delle domande: Quali sono i segni che ha lasciato questo evento dentro ognuno di noi? Rimarremo ancora a lungo a leccarci le ferite, a farci assalire dalla paura della morte, del collasso economico, del controllo sociale, o parleremo presto di cicatrici risanate? Come ci rapporteremo con l’altro? Ma soprattutto, riusciremo ancora a pensare al presente e ad immaginare il futuro?
Gli autori raccontano…
Per conoscere meglio Lockdown – Le Voci Della Città, due domande le ho fatte anch’io agli stessi autori del documentario, Giancarlo Cutrona e Giampiero Ganci.
Qual è l’obiettivo del documentario?
Dare voce alla città. Restituire dignità alle opinioni della polis, troppo spesso trascurata e sovrastata da un’informazione di carattere tecnico. La “scientocrazia” non può rappresentare una risposta definitiva a tutti i mali del mondo, perché la società ha bisogno di potersi esprimere ed essere ascoltata con attenzione. Oggi, l’unico mezzo per poterlo fare sono i social, ma questi – come sappiamo – sono ormai luoghi obsoleti e inadatti al confronto, perché permeati da un’isteria cacofonica che conduce dritti alla degenerazione e al conflitto. Questo film ha come punto di partenza l’ascolto, tramite il quale potrà sorgere un sedimento di interrogativi costruttivi per un dibattito futuro.
Come si può definire l’anima catanese in questo momento storico?
Come diceva il giornalista Pippo Fava, “il carattere storico del catanese rassomiglia a quello del fenicio; egli è commerciante per senso della sua natura umana”. In verità noi crediamo che questa sia una peculiarità di tutti i siciliani. Qui la strada è tutto. Basti pensare ai mercati rionali come la Vucciria di Palermo, la Fera ‘o Luni o la Pescheria di Catania, i quali non sono solo luoghi di lavoro e di commercio, ma assumono le sembianze di veri e propri monumenti storici, inscindibili punti di riferimento che col tempo hanno forgiato il carattere storico-antropologico e disegnato la fisiognomica della città. In questo senso la comparsa del covid ha soffocato l’anima di Catania, la quale dovrà fare i conti con un domani molto incerto, perché a differenza delle regioni del Nord, dove certamente vi sarà una ripresa lenta, ma sicura (grazie all’industria), qui non sarà così. Da qualche tempo, nonostante le mille avversità, la città stava vivendo una nuova fase di rinascita anche grazie al turismo e in questi anni moltissimi giovani imprenditori hanno deciso di restare qui e investire nella propria terra, frenando, in parte, l’inarrestabile emorragia dell’emigrazione italiana verso i paesi del Nord. Purtroppo, oggi, sappiamo che uno dei settori più colpiti dal virus è proprio il turismo e questo rischia di far ripiombare la città in una crisi peggiore di quella del 2008. Tuttavia, nella sua disamina Fava evidenziava quello che secondo lui era il vero tratto peculiare del catanese tipo: “egli ha mille difetti, ma un solo pregio: a differenza di tutti gli altri uomini del Sud non è portato al dramma, alla tragedia, ma all’ironia. Egli ama sentirsi vivo, e perciò ride persino delle sue disgrazie”. A questo punto noi non possiamo fare altro che confidare in questa sua visione, e sperare che presto, il caos genuino della vita ritorni presto a popolare le strade di questa città.
Giacomo Aricò