Ispirato alla storia vera di Fanny Ben-Ami, arriva al cinema solo oggi e domani come film-evento per la Giornata della Memoria, Il Viaggio di Fanny, la pellicola diretta da Lola Doillon vincitrice del Giffoni Film Festival 2016.
Il Viaggio di Fanny è la storia vera della tredicenne Fanny Ben-Ami (Léonie Souchaud) e delle sue sorelle, lasciate dai genitori in una delle colonie francesi destinate a proteggere i minori dai dai rischi della guerra. Lì conoscono altri coetanei e con loro, quando i rastrellamenti nazisti si intensificano e inaspriscono, sono costrette alla fuga. Questi bambini dovranno fare appello a tutta la loro forza interiore e al loro coraggio per affrontare pericoli e peripezie nel tentativo di raggiungere il confine svizzero e salvarsi.
Dovranno fare i conti con la fame, con il freddo, con l’odio dei nemici, ma incontreranno talvolta persone disposte a proteggerli anche a rischio della propria vita. Anche nelle difficoltà più ardue e nella paura riusciranno però a conservare il loro essere bambini, imparando ad essere indipendenti e scoprendo il valore della solidarietà e dell’amicizia.
“Volevo raccontare la storia di chi è costretto a crescere velocemente – spiega Lola Doillon – e il cuore del film è costituito proprio dal passaggio dall’infanzia all’adolescenza e dalle esperienze emotive di questi giovani eroi: l’angoscia derivante dalla separazione, la paura dell’ignoto, dell’oblio – al quale Fanny si oppone usando una macchina fotografica –, della morte, ma anche dalla loro energia positiva, dal loro coraggio e dalla loro perseveranza”.
Anche se il film si svolge nella Francia occupata, la regista ha lasciato fuori campo le immagini del conflitto o quelle dell’arresto dei genitori. Quello che le importava era infatti adottare il punto di vista dei bambini: “quello che mi interessava – continua – era vivere quegli avvenimenti attraverso gli occhi di un gruppo di bambini. Di mostrare come quei bambini, che non si trovavano sotto i bombardamenti, ma che avevano comunque subito la violenza dell’abbandono e la paura di restare orfani, avessero vissuto la guerra, e di riprodurre tutto questo dal loro punto di vista”.
Il progetto è servito a Lola Doillon anche per raccontare un periodo difficile della nostra storia ai ragazzi più giovani: “molti di loro – aggiunge – ancora non conoscono o, secondo la loro età, sanno poco di questo periodo della Storia, e intanto gli ultimi testimoni stanno invecchiando e spariscono un po’ alla volta”. Il film diventa dunque uno straordinario veicolo di trasmissione della memoria della Shoah – anche se sempre a misura di bambino.
È questo l’elemento che ha convinto Fanny Ben-Ami a cedere i diritti del suo libro proprio a Lola Doillon: “desidero che il mio messaggio venga compreso, affinché alcune cose non si ripetano – sottolinea – viviamo in un’epoca molto fragile, da ogni parte si levano voci che ricordano moltissimo quelle che si sentivano allora. Questo è molto pericoloso, anche per coloro che non sono ebrei. Perché dopo gli ebrei, andranno in cerca di altri bersagli. Ci riguarda tutti”.
Per questo la regista e gli attori hanno avvertito un grande senso di responsabilità nel portare sullo schermo la storia di Fanny Ben-Ami: “mi sono chiesta se fossi legittimata a raccontare una storia come questa e a parlare di bambini ebrei non essendo io ebrea – sottolinea e conclude Lola Doillon – ma poi mi sono decisa, dicendomi che si tratta di una storia che riguarda la Francia, l’Europa, e che in quanto tale avevo il diritto – perfino il dovere – di raccontarla”.