Giovedì 20 gennaio uscirà nei cinema italiani L’Ultimo Giorno Sulla Terra, la pellicola sci-fi di Romain Quirot che l’ha tratta da un cortometraggio da lui diretto. Protagonisti del film sono Jean Reno, Hugo Becker e Lya Ouassadit Lessert.
Il film
In un futuro non troppo lontano, la temperatura del pianeta terra è aumentata a dismisura, molte specie si sono estinte e centinaia di persone sono diventate rifugiati climatici. Un nuovo pianeta è apparso in cielo ed è in rotta di collisione con la terra. Solo un uomo può salvare il mondo, il suo nome è Paul W.R (Hugo Becker), tuttavia, a poche ore dell’inizio della missione l’astronauta è scomparso. Da allora tutti lo cercano.
Romain Quirot
Vi presentiamo di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Romain Quirot.
Come è nato il film?
Avevo immaginato questa storia per gli Audi Talents Awards, che poi ho avuto la possibilità di vincere, il che mi ha permesso di realizzare un cortometraggio di 17 minuti dove ho posto i primi tasselli di questo universo e dove c’era già Paul W.R. Abbiamo creato questo cortometraggio che è andato molto bene in tutto il mondo – abbiamo girato molti festival e abbiamo vinto molti premi – e molto rapidamente, ho voluto trasformarlo in un lungometraggio. Ho sviluppato molte versioni – onestamente, ce ne saranno state 17 o 18 diverse – ma sempre cercando di mantenere ciò che era importante per me, cioè parlare dell’infanzia.
Quali sono stati i suoi punti di riferimento durante la scrittura?
Questo film assomiglia al modo in cui ho imparato ad amare il cinema. Inizialmente mi sono nutrito di film americani ed ero un grande fan di Harrison Ford e di Blade Runner. Quando l’ho visto, non sembrava affatto un film di eroi. C’era qualcosa che mi affascinava e che andava oltre “l’eroe buono che salva il mondo dai cattivi”. Poi, crescendo, ho scoperto il cinema asiatico e in particolare Takeshi Kitano. C’è anche il cinema sudcoreano che mi ha davvero colpito. Un po’ più tardi, ho riscoperto la Nouvelle Vague francese. Un film come Il bandito delle 11 (Pierrot Le Fou), che è di fatto un Bonnie & Clyde francese, che assume pienamente questi codici. A Godard piaceva giocare con i codici americani per fare dei film iper-personali e iper-francesi, e trovo interessante questa mescolanza. Nutrito da tutto questo, ho fatto un film che volevo risultasse abbastanza visivo e che assumesse i suoi riferimenti, per installare prima un intero universo e poi passare rapidamente al tema dell’infanzia.
Cosa vuole dire fare Sci-Fi in Francia?
Quando stavamo cercando i finanziamenti per il film, ci è stato spesso detto che i francesi non avevano molto da dire sulla fantascienza, che non era il nostro territorio e che dovevamo lasciarlo fare agli americani. Questo è completamente sbagliato. Jules Verne è quasi l’inventore della fantascienza e potremmo naturalmente pensare a Méliès. La fantascienza è nel nostro DNA ed è ovvio che possiamo realizzare film di fantascienza. Infatti, più mi viene detto di non fare qualcosa, più mi viene voglia di farla.
Il tema dell’ecologia è al centro del film.
Vedo questo film come una sorta di favola anticipatrice e anche una favola ecologica. Mi sono davvero rituffato nelle mie sensazioni d’infanzia, in particolare al nostro rapporto con la natura e a questa sorta di fascino, di connessione che abbiamo con la natura quando siamo bambini e che con l’età possiamo perdere. Volevo creare un forte legame tra Paul e la Luna Rossa, facendo riferimento proprio a questo, e questa Luna Rossa è a metà tra gentilezza e minaccia. Gli uomini si interrogano su di essa, e il film mette in discussione il nostro rapporto con la natura, e il modo in cui da bambini vediamo il mondo, e come da adulti dimentichiamo quella visione.