Presentato lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma, dal 3 giugno (inizialmente programmato il 12 novembre 2020, uscita poi annullata per la seconda ondata CoVid-19) arriva finalmente nelle nostre sale Maledetta Primavera, il primo film (dopo i documentari Fuoristrada, 2013, Strane Straniere, 2016, Bellissime e Chiara Ferragni Unposted, 2019) diretto da Elisa Amoruso con protagonisti Micaela Ramazzotti, Gianpaolo Morelli e le giovani – per la prima volta sullo schermo – Emma Fasano e Manon Bresch. Al centro della pellicola una storia di formazione, di scoperta della propria identità e un’amicizia che profuma d’amore.
Il film
Ci troviamo nell’Italia del 1989. Nina (Emma Fasano) ha undici anni e una famiglia incasinata, il padre Enzo (Gianpaolo Morelli) e la madre Laura (Micaela Ramazzotti) litigano sempre, Lorenzo (Federico Ielapi) ‐ suo fratello minore ‐, quando si arrabbia, diventa un pericolo. Dal centro di Roma si ritrova catapultata in un quartiere di periferia, fatto di palazzoni, ragazzi sui motorini e prati bruciati. Anche la scuola è diversa, non ci sono le maestre ma le suore, non ha neanche un amico. Ma un incontro improvviso stravolge tutto, come una tempesta: ha tredici anni, abita nel palazzo di fronte, è mulatta e balla la lambada. Il suo nome è Sirley (Manon Bresch), viene dalla Guyana francese, in Sud‐America, e ha un sogno ambizioso: interpretare la Madonna nella processione di quartiere.
Sirley è una creatura strana, con un passato difficile, piena di fascino e di mistero. Non le importa delle regole, non ha paura di nessuno, e l’unico modo che ha per interagire con le persone è quello di aggredirle o di sedurle. Nina ne è attratta e spaventata, eppure Sirley fa qualcosa che nessuno finora ha fatto davvero: le dà attenzione e a modo suo, la fa sentire speciale. La coinvolge in un mondo nuovo, e rapidamente quest’amicizia così anomala la assorbe totalmente. Maledetta Primavera è il racconto di come il desiderio plasma e trasforma l’infanzia in adolescenza. Una storia di crescita e di solitudini. Una storia d’amore vista con gli occhi di una bambina che cerca il suo posto nel mondo.
Intervista a Elisa Amoruso
“In quel periodo, io mi sentivo spesso invisibile in una famiglia incasinata e il vuoto di questa periferia amplificava la mia sensazione di smarrimento, tipica di quell’età inquieta della pre‐adolescenza“. Queste sono parole di Elisa Amoruso, autrice e regista di una storia in parte autobiografica che ha incuriosito Angelo e Matilde Barbagallo. I due le hanno chiesto di scriverla in una forma libera, come un flusso di coscienza e da questo manoscritto è nato il romanzo che si intitola Sirley (edito da Fandangolibri). Quella raccontata da Maledetta Primavera è una storia di scoperta, del proprio essere, della propria identità. E soprattutto della scoperta dell’amore. Le relazioni familiari sono al centro del film della Amoruso, una regista profondamente sensibile a queste tematiche. Per parlare di questa sua nuova pellicola dei sentimenti abbiamo avuto il grande piacere di intervistarla.
Elisa, dopo diversi documentari, Maledetta Primavera è il tuo primo lungometraggio di finzione, anche se in realtà nasce da un tuo racconto e dalla tua vita. Quale parte di te esce in questo film?
Sicuramente esce di me quella parte più legata all’infanzia e all’adolescenza. Ma esce anche una parte che è legata ad una cultura e un’estrazione più popolare: sono cresciuta in un quartiere di periferia e secondo me questo mi ha dato uno sguardo sul mondo a 360 gradi. Non sono cresciuta in un mondo ovattato o in una gabbia dorata.
L’infanzia di Nina nella delicata fase pre-adolescenziale, in una famiglia incasinata, con dei genitori che litigano sempre. Come si gestiscono le emozioni in quel momento della vita?
Nina, in quella fase, gestisce le sue emozioni in modo molto caotico. A 11-12 anni non sai ancora bene qual è la tua personalità, non sai che direzione stai prendendo. E quando i tuoi genitori – che in quel momento sono ancora i tuoi punti di riferimento – entrano in conflitto, fai fatica a parteggiare per l’uno o per l’altra, ed è come se alcuni parti di te entrassero a loro volta in conflitto. Per questo Nina attraversa un momento di grande caos. Alla fine troverà il coraggio di passare oltre, attraverso la relazione con Sirley.
Dalla città alla periferia: cosa comporta questo salto?
Comporta dover cambiare le proprie abitudini, un dover ricominciare da zero, trovare nuove amicizie, re-inventarsi in una nuova identità e in una nuova personalità. Trovare un nuovo posto, entrare a vivere in un quartiere che non è quello in cui sei nata e dove ti trovavi bene. Per cui significa scoprire la propria capacità di adattamento. Un processo per niente facile.
Nina cerca ascolto e attenzioni dalla mamma, Laura. Come descriveresti il rapporto madre-figlia?
Il rapporto madre-figlia è allo stesso simbiotico e conflittuale. Un rapporto che è necessario scardinare e mettere in discussione per poter fare un passo avanti nella propria crescita personale e nella ricerca di una propria identità.
Enzo, la figura paterna, quanto incide nella crescita di Nina?
Enzo incide molto nella crescita di Nina perchè è l’elemento più folle e meno prevedibile, è lui che porta la risata, che sdrammatizza, che è in grado di cambiare le situazioni, spostandole da una parte all’altra. Enzo libera la creatività di Nina, è lui che le dice di essere libera, di portare avanti i suoi sogni, qualsiasi cosa lei faccia.
Il legame tra le due giovani ragazze: dov’è il confine tra amicizia e amore?
Tra amicizia e amore c’è un confine molto labile: è un’amicizia molto stretta, che nasce con degli, del tutto inconsapevoli, “giochi di potere”. Tra le due c’è infatti uno squilibrio: Sirley è ormai già una donna mentre Nina è ancora una ragazzina. Questo scarto di consapevolezza sicuramente le allontana e, allo stesso tempo, le avvicina molto. La loro è un’amicizia che piano piano diventa sempre più intima e speciale. Fino a diventare indispensabile come un sentimento d’amore.
1989, un anno entrato nella storia. Il saluto agli anni ’80, l’arrivo dei ’90. Com’era quell’Italia?
L’Italia nel 1989 era sicuramente un Paese in divenire. Non c’erano ancora stati i Mondiali del ’90, c’era ancora un senso di internazionalità ancora poco scoperto, si viveva in un mondo più “locale” e meno globale. Ed era molto diversa quel tipo di società da quella che conosciamo oggi.
Quella del 2020 è stata davvero una Maledetta Primavera. Ora la situazione sta migliorando, ma non è ancora finita. Quanto è importante restare uniti in questa battaglia?
Questa pandemia non è ancora da sottovalutare. La responsabilità personale è fondamentale, dobbiamo ancora avere un senso civico altissimo. Preservare la nostra salute significa preservare la salute di tutti. Dobbiamo continuare a lottare per questa causa comune. Grazie ai vaccini stiamo tornando a respirare.
Intervista di Giacomo Aricò