Un’icona, un mito, un santo. Tutto questo Diego Armando Maradona è stato, ed è ancora oggi, per Napoli: un calciatore che ha dato sostanza ai sogni di un popolo. Di tutto questo il regista Alessio Maria Federici ha parlato in Maradonapoli, un film-documentario – al cinema dal 1° al 10 Maggio – che ricerca la figura del Pibe in ogni angolo della città, attraverso una sua immagine, un oggetto che lo ricordi, attraverso le parole delle persone che sanno cosa vuol dire aver avuto Maradona nella propria città.
Il 30 giugno 1984 sembra un giorno come tanti. Forse in tutto il resto del mondo ma non a Napoli, quello è il giorno dell’“avvento” di Maradona. Napoli è e sempre sarà la città dove tutto sembra più bello o più brutto di quello che è, ma soprattutto la città dove tanti uomini sono diventati qualcosa di più: simboli, eroi, santi. Il popolo di Napoli protegge le sue icone, le osanna, le esaspera per tramandarne i significati, fino a farle diventare un’arma di affermazione e identificazione.
Già da quel 30 giugno Napoli sente che Maradona sarà una di queste e che donerà a tutti napoletani, dal più aristocratico al più povero, quella goccia di felicità che li farà vivere meglio. Maradona resta a Napoli 7 anni in cui fa di tutto, vincendo due scudetti, una Coppa Italia e una Coppa UEFA e una Supercoppa italiana con il Napoli. E in quei 7 anni vive la città, le sue contraddizioni, le sue meraviglie, le sue difficoltà, le sue speranze. Ma soprattutto vive i sogni di tutti i napoletani e li alimenta, parlando di riscatto e vittoria.
Ovunque ancora oggi c’è qualcosa che lo ricorda, con occhio malinconico e fiero incide dappertutto la sua faccia, la sua ombra, la sua corsa. Passeggiando puoi imbatterti nel suo numero, il 10, nel suo nome, la sua maglietta, una scritta, un murales oppure Maradona è sulla pelle della gente con i tatuaggi, sulle automobili con gli adesivi, sulle carte d’identità con i tanti Diego e Diego Armando che hanno circa 30 anni (c’è anche un Diego Armando Maradona di nome e Mollica di cognome), nei portafogli insieme alle immagini dei figli e di San Gennaro.
Questo perché Maradona a Napoli è ormai una figura parareligiosa di cui viene adorato il suo capello a San Biagio dei Librai e il suo piede a Ischia (c’è una formazione rocciosa sull’isola che ricorda il suo sinistro). Le persone ricordano con dovizia di particolari le lunghe attese con tutte le ovvie scaramanzie affinché arrivasse il giorno sacro, la domenica, il giorno della partita, ma ricordano perfettamente anche i lunedì, il giorno in cui la luce sulla città poteva essere ancora più brillante (in caso di vittoria) o più cupa (in caso di sconfitta, trovando comunque in Maradona un motivo per aspettare la prossima partita).
Preti che hanno battezzato decine e decine di Diego, gente che piange al semplice nominarlo, persone che conservano bicchieri, vassoi, insalatiere, quadri, magliette, mutande e accendini con la sua immagine e che non ti venderanno per niente al mondo (forse). Cosa accadde in fondo in quel 30 giugno 1984? Alessio Maria Federici risponde così: “l’inizio di una storia di cui la firma su un contratto è il “C’era una volta” e il popolo di Napoli non vuole scrivere ancora la parola FINE”.