Presentato in Concorso alla 74. Mostra del Cinema di Venezia, il 24 maggio esce al cinema Mektoub My Love, Canto Uno, film diretto da Abdellatif Kechiche. Un racconto di formazione ambientato nel 1994 che illumina di nostalgia le meraviglie della giovinezza.
Amin (Shaïn Boumédine), un aspirante sceneggiatore che vive a Parigi, ritorna per l’estate nella sua città natale, una comunità di pescatori del sud della Francia. Occasione per ritrovare la famiglia e gli amici d’infanzia. Accompagnato da suo cugino Tony (Salim Kechiouche) e dalla sua migliore amica Ophelie (Ophélie Bau), Amin passa il suo tempo tra il ristorante di specialità tunisine dei suoi genitori, e i bar del quartiere e la spiaggia frequentata dalle ragazze in vacanza.
Incantato dalle numerose figure femminili che lo circondano, Amin resta soggiogato da queste sirene estive, all’opposto del suo cugino dionisiaco che si getta nell’euforia dei corpi. Munito della sua macchina fotografica e guidato dalla luce eclatante della costa Mediterranea, Amin porta avanti la sua ricerca filosofica lanciandosi nella scrittura delle sue sceneggiature. Ma quando arriva il tempo dell’amore, solo il destino, solo il mektoub può decidere.
Lasciamo spazio alle parole di Abdellatif Kechiche che presenta così il suo film:
“Mi piacerebbe restituire al cinema la sua dimensione sacra, e vorrei che andassimo a vedere un film con lo stesso spirito con cui partecipiamo ad una cerimonia. Anche se in molti pensano che sia un’illusione, ho sempre mantenuto la convinzione che il cinema partecipi ad una nuova era, possibile, dell’umanità. Mi sento tanto un regista quanto un artigiano di questa speranza. Se perdessi questa mia visione utopistica, perderei insieme ad essa il desiderio di fare cinema”.
“Aspiro a fare in libertà dei film che siano anch’essi liberi, realizzati con pochi mezzi, e con l’intento di raccontare una storia, di partecipare al risveglio dell’anima (anche se il mio spirito non è più sveglio di altri). Sono cosciente che la mia anima è oscurata da questo nuovo secolo. Senza essere un politico, le circostanze della mia nascita, le mie origini, la mia carriera, fanno di me un’entità politica. Dentro di me, i miei pensieri, i miei sentimenti, sono diventati politici perché la società mi ha politicizzato”.
“Ho girato questo film perché, pur non essendo biografico, riflette qualcosa di me. Non volevo parlare di me, non volevo spiegarmi. Tutti abbiamo avuto delle esperienze amorose in gioventù. Non ho la personalità dei miei protagonisti ma posso identificarmi in ognuno di loro. Li guardo, li osservo, li amo, tutto qui. Li analizzo senza giudicarli. Mi fanno domande sul mektoub, sul destino, sulla natura del bene e del male e sulla loro ambiguità”.
“Questo film è anarchico nel senso nobile del termine, e cioè che mira a spezzare le catene della gerarchia. Il cinema francese è ostile ai miei discorsi sulla libertà, e questo ha posto più di un ostacolo all’esercizio della mia professione. Questo film induce ad una riflessione sul significato della parola “destino”. Siamo predestinati? Siamo governati da forze più gradi di noi? Qual è l’impatto della storia, delle decisioni di alcuni, sulla vita di noi tutti? Esiste davvero il libero arbitrio? Il film si pone la questione di comprendere se gli eventi a livello individuale abbiano ripercussioni su una famiglia o, più ampiamente, su una nazione. E, viceversa, se le decisioni prese a livello governativo abbiano un impatto sui gruppi e sugli individui. Può un intero popolo essere chiamato alle armi?”.
“A distanza di decenni si tende a dimenticare l’azione all’origine di eventi che influenzano il destino degli individui attraverso il tempo. La mia non vuole essere una lezione, ma una visione. Lascio che lo spettatore giudichi da sé. Cercare la verità non vuol dire accusare. C’è una spaccatura nella società, ed è necessario capirne l’origine. La Francia non è una nazione bianca, bensì multiculturale e multireligiosa. Questo film vuole essere un inno alla vita e alla luce, un’ode alla bellezza, una storia gioiosa ed euforica che analizzi le conseguenze di azioni passate sul presente. Questa luce è la libertà di pensiero, la libertà che rivendico”.