Vincitore del Premio della Giuria al 74° Festival del Cinema di Cannes, giovedì 16 giugno uscirà nelle sale Memoria, il nuovo film di Apichatpong Weerasethakul con protagonista Tilda Swinton nei panni di una donna che si scopre punto di congiunzione tra presente, passato e futuro.
Il film
Jessica (Tilda Swinton) è una botanica in viaggio a Bogotà per far visita alla sorella. Durante il suo soggiorno viene svegliata nella notte da un boato assordante che non la farà più dormre. Un rumore che si ripresenterà anche durante il giorno e di cui Jessica prova a trovare l’origine. Nella sua ricerca incontrerà l’archeologa Agnés (Jeanne Balibar) che si trova a Bogotà per studiare alcuni resti umani, vecchi di 6000 anni, rinvenuti durante lo scavo per un tunnel sotto le Ande e si imbatterà in Hernàn (Elkin Diaz), un pescatore che vive nel cuore della foresta amazzonica che le svelerà l’origine degli strani rumori che la tormentano. I due condividono i ricordi in riva al fiume. Quando la giornata volge al termine, Jessica si risveglia con un senso di chiarezza.
Apichatpong Weerasethakul racconta...
“Da bambino ero attratto da giungle, animali e montagne. Negli anni ’70 sono cresciuto leggendo romanzi sui cacciatori alla ricerca di tesori di civiltà perdute. Tuttavia, la Thailandia non possiede antichi imperi pieni d’oro, né tribù di cacciatori di teste, né anaconde. Quarant’anni dopo, Sono ancora attratto da questi paesaggi, ma ora sono coperti da strati di altre storie. Sono attratto dalla storia dell’America Latina come se fosse una parte mancante della mia giovinezza. Sono venuto in Colombia per raccogliere espressioni e ricordi, non l’oro amazzonico. Sono profondamente in debito con le persone che ho incontrato in varie città, dagli psicologi, agli archeologi, agli ingegneri, agli attivisti, ai rigattieri, ingegneri, attivisti, collezionisti di cianfrusaglie”.
“Un altro fattore importante nella nascita di questo progetto è la mia stessa allucinazione. Mentre ricercavo, ho sentito spesso un forte rumore all’alba. Era interno e si è verificato in molti luoghi che ho visitato. Questo sintomo è inseparabile dalla mia esposizione alla Colombia. Ha costituito la base di un personaggio la cui esperienza audio si sincronizza con la memoria del Paese. Immagino le montagne come espressione dei ricordi della gente attraverso i secoli. Le massicce sierre, con le loro pieghe e le loro insenature, sono come le pieghe del cervello, o le curve delle onde sonore. Con decine di atti di violenza e di traumi, il terreno che si gonfia e trema, fino a diventare un’isola, fino a diventare un Paese con frane e terremoti a non finire. Il film stesso cerca un equilibrio in questa topografia attiva. I suoi scheletri, le immagini e i suoni, sono scossi fuori posto. Forse questo è un “punto dolce” in cui io e questo film possiamo sincronizzarsi, uno stato in cui l’illusione è la norma”.