Nel mondo dello spettacolo, gli attori e le attrici che entrano nell’immaginario colletivo, spesso lo fanno con un personaggio preciso ed indelebile, forse anche irremovibile. Pensiamo a Robert Pattinson come il vampiro luccicante di Twilight prima ancora che come professionista del cinema indipendente accanto a mostri sacri come Willem Dafoe in The Lighthouse. Oppure Renée Zellweger ci viene subito in mente come la “bruttina” di Bridget Jones e solo dopo ci ricordiamo la sua carriera strepitosa, un’attrice poliedrica vincitrice di ben due Oscar, per Ritorno a Cold Mountain e per l’interpretazione di Judy Garland nel suo biopic Judy. C’è chi si ritrovato a lottare per allontanarsi da un riconoscimento radicato e ingombrante – pensate ai Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint, che saranno sempre Harry Potter e gli amici Hermione e Ron – e chi invece non ha solo dovuto staccarsi dalla propria immagine Hollywoodiana, ma anzi nel farlo l’ha impiegata come traino e riflettore per dare attenzione ad altri fattori. Una malattia, per esempio. Un male di cui si sapeva poco, si temeva tanto, e ancor di più si doveva parlare. Michael J. Fox ha fatto tutto questo con il morbo di Parkinson, e tutti noi – soprattutto oggi che compie 60 anni (è nato il 9 giugno del 1961) – dovremmo pensarlo non solo nel ruolo del grandioso Marty McFly, ma imprimerci la sua “nuova” immagine che, nonostante tutto, è decisamente quella di un vincente assoluto.
L’apice del successo
Michael J. Fox è il simbolo del cinema degli anni ’80. Di origini canadesi, esordisce sul piccolo schermo nel 1982 in Casa Keaton, una serie durata sette stagioni in cui interpretava il primogenito dell’omonima famiglia protagonista. La sua popolarità lo porta ad essere notato da Robert Zemeckis, che decide di ingaggiarlo per quella che sarà la trilogia di Ritorno al Futuro (1985, 1989 e 1990). Per la precisione Fox fu la prima scelta del regista, ma per impegni contrattuali non potè partecipare. La produzione ingaggiò allora Eric Stoltz, licenziato dopo qualche settimana di riprese perché proprio non ingranava. Zemeckis ci aveva decisamente visto lungo: Fox si riunì al cast, girando Casa Keaton contemporaneamente, ma lanciando così la sua carriera, in una pellicola considerata ancora oggi un capostipite del genere fantascientifico. La stella di Fox prosegue nella trilogia di viaggi nel tempo, ma anche con il ruolo dell’adolescente-licantropo in Voglia di Vincere (1985), e soprattutto il giovane rampante che, da umile fattorino, scala le vette di una società multinazionale ne Il Segreto Del Mio Successo (1987). Non solo ruoli ironici ma anche un tentativo di dramma ambientato in Vietnam con Vittime di Guerra (1989), affiancato da Sean Penn e diretto da Brian de Palma. Una carriera a tutto tondo per conquistare e segnare l’intero decennio cinematografico.
Un nuovo inizio
È il 1991 quando Fox, sul set di Doc Hollywood, si accorge di non saper più tenere le mani ferme. Questo è il momento in cui la vita di un attore, da promettente ad affermato, rischia di scomparire, ma in realtà diventa l’inizio di una nuova vita. Da una parte, per il grande schermo, accetterà e completerà altri lavori come il buddy cop Insieme Per Forza (1991), la commedia romantica Amore Con Interessi (1993) e il soprannaturale Sospesi Nel Tempo (1996) diretto da Peter Jackson ma prodotto ancora da Zemeckis. In televisione trova il tempo di guidare la sitcom Spin City, ambientata nell’ufficio del sindaco di New York, per la quale guadagnerà ancor più fama e riconoscimenti – ben tre Golden Globe per lui. Ma nel privato deve accettare il Parkinson a livello personale, prima ancora che pubblico. Dopo un periodo di alcolismo c’è l’annuncio della malattia, nel 1998, e il graduale abbandono della recitazione: nel 2000 cede il testimone di Spin City a Charlie Sheen, e al contempo da vita ad una fondazione con il suo nome, dedicata a sensibilizzare sul Parkinson e a raccogliere fondi per la ricerca, con grandi risultati. Con piccoli ruoli prende parte ancora alle serie Scrubs, Rescue Me, The Good Wife, Curb Your Enthusiasm e, tra il 2013 e il 2014, torna in una serie tutta sua, The Michael J. Fox Show. La malattia gli impedisce di memorizzare le battute, ma non c’è verso di arrendersi: la voglia di esserci è inarrestabile, basta unire il ruolo con il suo privato: i suoi personaggi soffrono degli stessi tic e disagi che l’attore vive anche nella realtà, come effetti collaterali del Parkinson.
Non solo attore, ma scrittore e testimonial
È facile concentrarsi sull’uomo fragile e distrutto dalla crudeltà della vita. È davvero semplice cadere nella descrizione del suo dolore o di tutte le cose terribili che ha dovuto affrontare. Dall’asportazione del talamo ad un tumore alla spina dorsale, passando per la paura e le vicissitudini di dover re-imparare a camminare. Una delle sue dichiarazioni più note però è “il Parkinson mi ha salvato la vita. Prima vivevo a 100 all’ora e bevevo, ora mi sono avvicinato alla famiglia”. Accanto a lui c’è infatti la moglie Tracy Pollan, conosciuta sul set di Casa Keaton, e i loro quattro figli. Nel 2002 ha scelto di raccontarsi in Un Uomo Fortunato, prima esperienza di autobiografia, arrivata anche da noi l’anno successivo. Ancora inediti in Italia i successivi A Testa Alta: Le Avventure di un Incurabile Ottimista (2009) e Una Cosa Divertente Accaduta Lungo Via Del Futuro: Colpi Di Scena e Lezioni Apprese (2010). Lo scorso novembre è uscito anche Nessun Tempo è Come il Futuro: Come un Ottimista Considera la Mortalità, un’altra fantastica testimonianza che già dai titoli dimostra la sua positività, su tutti i fronti. Non può recitare forse, ma può scrivere e condividere.
L’arte di rialzarsi
Senza Michel J. Fox non avremmo personaggi di culto come Marty McFly, ma parlare del cinema è riduttivo. Forse non sapremmo bene che cosa sia questo “Parkinson”. Quando abbiamo scoperto che un attore trentenne ne soffriva, abbiamo iniziato a familiarizzare con questi sintomi. La sua fondazione ha raccolto milioni di dollari, e la sua testimonianza è stata il volto e il moto di tutto. Vederlo in TV interpretare il dottor Kevin Casey di Scrubs ci ha trasmesso la vivida immagine di chi lotta quotidianamente con i demoni della propria mente o del proprio corpo. Quando esclama al protagonista “Ognuno ha la sua croce da portare” cogliamo, con semplicità, la fragilità del successo. O ancora, nel ruolo dell’avvocato Louis Canning di The Good Fight, scopriamo (anche grazie a Wikipedia) cosa sia discinesia tardiva e acatisia – movimenti involontari e irrequietezza motoria, tipici di chi assume medicinali per contrastare l’avanzata del Parkinson. E ancor più lampante, con il suo show del 2013, Fox racconta direttamente la sua quotidianità, a tutti, nel modo più chiaro e ironico. Non c’è paura, c’è voglia di conoscere, condividere e superare.
Davvero un inguaribile ottimista
La storia di Michael J. Fox è una storia quasi sportiva, di rinascita… di resilienza, diremmo oggi, inflazionando questo termine, ma è esattamente così. Ciò che ci definisce a volte non è tanto ciò che facciamo o gli obiettivi che riusciamo a raggiungere, quanto invece come reagiamo di fronte alle sconfitte e alle ingiustizie. Il modo in cui ci rialziamo dopo una, due, tre, mille battute d’arresto. Fox ha dimostrato di saperlo fare, con cuore e carattere. Ed esattamente nel modo in cui si definisce lui stesso: un inguaribile ottimista.
Enrico Banfo