Una grande donna e una straordinaria attrice, nata il 3 novembre 1931, 91 anni fa. A poco più di nove mesi dalla sua scomparsa, vorremmo esprimere a Monica Vitti (nome d’arte di Maria Luisa “Marisa” Ceciarelli) la gratitudine per quanto ha saputo trasmetterci e comunicarci arricchendoci sentimentalmente. Donna eccezionalmente bella ed attrice stupendamente brava si è misurata con tanti ruoli diversi impegnati e brillanti ci ha fatto riflettere ci ha divertito con un umorismo unico e irripetibile, ma ancor più ci ha fatto sentire attraverso i suoi personaggi la delicatezza e la forza della sua personalità.
Oggi è una occasione per rivedere una delle sue più indimenticabili interpretazioni. Abbiamo scelto Deserto Rosso che pur rimanendo il capolavoro di Michelangelo Antonioni, il primo film a colori del regista con la fotografia di Di Palma e premiato a Venezia con il Leone D’Oro nel 1964, è per me e credo per molti una mirabile prova di attrice di Monica Vitti.
La vediamo nella prima scena del film così come nell’ultima come una mamma borghese anni ‘60 che dà la mano al suo bambino in una Ravenna stravolta e contaminata dalla prima industrializzazione. Lei cammina con il cappotto verde e le scarpe con il tacco tipiche degli anni, vicino ad una fabbrica che avvelena l’aria e distrugge la natura. Niente di più attuale.
Tra la prima e l’ultima scena si dipana la crisi depressiva di una donna che percepisce con i suoi splendidi occhi l’isolamento, l’estraniamento e la distruttività del mondo contemporaneo. “C’è qualcosa di terribile nella realtà” dice Giuliana (la Vitti nel film) e il disagio interiore si riflette nei colori alterati dai vissuti della protagonista espressione dei suoi stati d’animo e spesso della sua angoscia.
Ma questa vicenda personale, la depressione con un tentato suicidio e il ricovero in ospedale psichiatrico, la sua malattia, rivelano la malattia di una natura innaturale che mette a dura prova la capacità di adattamento di chi vede in modo diverso dagli altri, ma forse vede meglio.
Contrapposta alla desertificazione della periferia di Ravenna, ai fumi, alle nebbie, alle navi grigie che trasportano merci e non passeggeri, il sogno, la fantasia in un racconto fatto al figlio, di una ragazza che vive felice a contatto con il mare che è vivo sempre in movimento, sulla spiaggia rosa di Budelli, tra le rocce che sembrano fatte di carne e anch’esse vivono e cantano.
Giuliana cerca un contatto con la realtà e con le persone che non riesce a trovare, una comprensione che forse le arriva solo in parte da Corrado (Richard Harris) un amico del marito che è un compagno distratto e insensibile, che cerca spostandosi in vari luoghi ciò che lei cerca con lo sguardo.
Nell’ultima scena il superamento della crisi e l’adattamento o la rassegnazione alla assurdità della nostra vita. Suo figlio le chiede che cosa sia il fumo arancione che esce dalle ciminiere della fabbrica e lei risponde che è veleno il veleno che uccide gli uccellini ,ma adesso gli uccellini lo sanno e non passano più di lì. A oltre 50 anni di distanza c’è da da chiedersi se ci sarà ancora dell’aria non avvelenata dove poter volare .
Un film moderno, antesignano, un ruolo femminile che esalta la centralità della donna e la sua forza dirompente il coraggio, la vocazione alla felicità, la capacità di sentire l’arte di amare.
Claudia Sacchi
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