Gran Premio della Giuria alla 68esima Berlinale, mercoledì 24 aprile arriva nelle nostre sale cinematografiche Un’Altra Vita – Mug, la pellicola scritta e diretta da Małgorzata Szumowska con protagonista Mateusz Kościukiewicz.
Il film
Jacek (Mateusz Kościukiewicz) ama l’heavy metal, la sua fidanzata (Martyna Krzysztofik) e il suo cane. La sua famiglia e i parrocchiani del suo paesino lo trovano un tipo bizzarro e divertente. Jacek lavora presso il cantiere edile di quella che dovrebbe diventare la statua di Cristo più alta del mondo. Dopo che un grave incidente lo sfigura completamente, tutti gli occhi vengono puntati su di lui mentre si sottopone al primo trapianto facciale del Paese.
Małgorzata Szumowska
Vi proponiamo un estratto dell’intervista rilasciata da Małgorzata Szumowska.
Si identifica con Jacek?
Mi sento molto in sintonia con lui. Questo personaggio che suscita ansia, ilarità, sconcerto, non solo tra i famigliari, ma anche in tutto il paesino, mi ha colpito per la sua energia pura e genuina, la sua onestà in un mondo fatto di distorsioni. Jacek possiede tutte le caratteristiche di un eroe romantico. È la personificazione della libertà.
Lei si interroga sull’importanza che il proprio passato e le proprie radici hanno nella vita di una persona. In qualche modo, crede che la famiglia di Jacek si trasformi nel suo stigma?
All’inizio del film la sua famiglia rappresenta la sua forza e la sua debolezza allo stesso tempo. Lui è così grazie -e a causa- loro. La persona che diventa dopo l’incidente è anche il risultato delle loro azioni nei suoi confronti. La famiglia fa fatica ad adattarsi al nuovo Jacek, così diverso. Sua madre crede addirittura che non sia affatto Jacek, mostrando il suo scetticismo, così tipico dei polacchi, verso i trapianti: non è qualcosa di “conforme alla religione”. Questa tipica famiglia polacca, cattolica, è piuttosto una disgrazia per l’eroe, è per questo che vuole scappare. L’unica persona che lo accetta è sua sorella. Nel film viene rappresentata una famiglia polacca a un punto di svolta della propria storia. Magari alcune persone giudicheranno i personaggi e le loro relazioni, mentre altre vedranno in esse una normale famiglia di provincia. Starà agli spettatori farsi una propria opinione. Sicuramente sono una famiglia un po’ disfunzionale, ma quale non lo è? In ogni caso, il mio obiettivo non è etichettare una famiglia polacca che vive in provincia. Questa è una fiaba che narra di un ragazzo che diventa un disadattato, non soltanto un emarginato, bensì un vero e proprio rinnegato, in un certo senso, addirittura un peccatore.
Questa non è la prima volta che descrive la provincia polacca.
Conosco la Polonia ben oltre le aree metropolitane. Quand’ero piccolo, ogni anno, passavo molto tempo in un paese della Masuria, insieme ai miei genitori. Ed è una zona che continua tutt’oggi a fornirmi uno spaccato della gente del posto e della provincia: quando mi capita di andare nella casa di campagna dei miei genitori con i miei figli e gli amici.
“Mug” è ambientato in una zona della Polonia meridionale, bella e incontaminata. Ciò che mi interessa più di ogni altra cosa, però, è quest’uomo, che sta affrontando una sorta di dilemma, qualcosa di misterioso; un uomo che è circondato da una natura selvaggia e, in qualche modo, vive tra gente selvaggia. La realtà della campagna è bella e crudele allo stesso tempo, la gente può essere cattiva. Qui tutto è più semplice, le regole di vita più chiare, più primitive. La vita mondana si basa sui rapporti e la convivenza con la natura. Non si può semplicemente tagliare i ponti con le proprie radici, torneranno sempre. Mi piace descrivere questo tipo di Polonia, che però è proprio la realtà da cui Jacek cerca di scappare, nonostante la sua bellezza selvaggia.
Mug è ispirato a eventi reali.
Sì, ma fanno solo da sfondo alla storia. Gli elementi importanti sono, da una parte, la costruzione della più grande statua di Cristo del mondo, a Świebodzin, Più grande anche di quella di Rio de Janeiro. Dall’altra, invece, la prima operazione di trapianto facciale al mondo, per salvare la vita del paziente. Fu eseguita dai medici del Centro Oncologico di Gliwice. Mi sono documentato accuratamente su entrambi gli eventi e abbiamo parlato anche con Grzegorz Galasiński, l’uomo che si sottopose a tale operazione. Incontrarlo ci fu molto d’aiuto.
Quanto era importante la caratterizzazione di Jacek, il protagonista, nel caso di Mug?
Era cruciale. Se prima dell’incidente Jacek è un bel ragazzo, pieno di vita e affascinante, dopo l’incidente il suo aspetto doveva suscitare quasi sdegno, pur mantenendo il suo fascino. È stato un compito arduo. Dopo l’incidente, Jacek spaventa le persone. Dal punto di vista medico, l’operazione ovviamente rappresenta un successo, gli salva la vita. Ma, dal punto di vista estetico, il ragazzo inizia a chiedersi cosa possa fare con un viso come quello, come comportarsi in famiglia, al lavoro, per strada, con una donna, ecc. Mateusz Kościukiewicz, che interpreta il ruolo di Jacek, è riuscito a restituire tutto questo: sia il fascino di un ragazzo giovane e determinato, pieno di speranza e fede nel futuro, sia una persona che, dopo un incidente, deve ridefinire il proprio posto all’interno della famiglia e del paese in cui vive.
Il suo è un film universale, semplice, ma anche portatore di un messaggio preciso.
Faccio film su ciò che mi disturba, della Polonia. E ciò che mi irrita è una fede cattolica profondamente radicata e poco attenta all’altro, l’ipocrisia, l’aggressività, la mancanza di tolleranza e il fatto di girarsi dall’altra parte di fronte al diverso, al nuovo. Questi elementi erano presenti in tutti i miei film, però Mug è quello che li approfondisce di più. È capitato, semplicemente. Per me non è pensabile affrontare certi argomenti in punta di piedi, con umiltà o abbozzando una qualche tesi iniziale. So che certe cose non le posso combattere, ma posso prendermene gioco. Ho l’impressione che ne trarremmo tutti dei benefici, se, in Polonia, ridessimo di più e discutessimo di meno. È questo che intendo dire nel film: nonostante le avversità del fato e il comportamento dei famigliari, Jacek non si perde d’animo. Ciò che sta succedendo in Polonia mi preoccupa, mi addolora, mi riempie di ansia, ma se ne parlassi in questo modo nessuno vorrebbe ascoltarmi. Così ho scelto il black humour, è una ventata d’aria fresca, è interessante. Credo rappresenti un valido tentativo di mostrare il popolo polacco da una prospettiva diversa rispetto al punto di vista serio, storico e martirizzante a cui il mondo è abituato. Sempre più spesso mi trovo a pensare che solo la distanza e l’umorismo ci possano salvare, fondamentalmente, da noi stessi.