Solo dal 7 al 9 novembre nelle sale arriva Munch. Amori, Fantasmi e Donne Vampiro, il documentario – prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital – diretto da Michele Mally che firma la sceneggiatura con Arianna Marelli, si impegna a gettare nuova luce su Edvard Munch, un uomo dal fascino profondo e misterioso, un precursore e un maestro per tutti coloro che vennero dopo di lui (elenco sale su nexodigital.it).
Il documentario
Non esiste al mondo pittore più celebre, eppure meno conosciuto di Edvard Munch. Se il suo Urlo è diventato un’icona dei nostri tempi, il resto della sua produzione non è altrettanto famoso. Ora invece Oslo, l’antica Kristiania, segna una svolta per la conoscenza dell’artista: il nuovo museo Munch – inaugurato nell’ottobre 2021 – è uno spettacolare grattacielo sul fiordo della capitale norvegese, pensato per ospitare l’immenso lascito del pittore alla sua città: 28.000 opere d’arte tra cui dipinti, stampe, disegni, quaderni di appunti, schizzi, fotografie ed esperimenti cinematografici. Tutto questo straordinario patrimonio ci offre una visione d’eccezione della mente, delle passioni e dell’arte di questo genio del Nord.
Il docufilm Munch. Amori, Fantasmi e Donne Vampiro è anche un viaggio attraverso la Norvegia di Munch, alla ricerca delle radici e dell’identità di un artista universale, che ci invita a interrogarci sul tema principale del suo multiforme lavoro: la sua idea di Tempo. Munch scrive: “Non dipingo ciò che vedo, ma ciò che ho visto“. E in effetti ha ripetuto i suoi soggetti, dipingendo e ridipingendo le stesse immagini per conservarle nel suo atelier, ponendo le basi della pratica dei Multipli. Il suo personale concetto di Tempo si rispecchia in un equilibrio delicato e originale tra passato e presente, uno strumento per vivere la propria esistenza, un ponte attraverso le dimensioni dell’universo per entrare in contatto con il mondo dei fantasmi e degli spiriti.
La favola nera
Il docufilm si apre nella casa di Edvard Munch ad Åsgårdstrand. In una notte d’inverno, davanti al focolare, una giovane donna – l’attrice Ingrid Bolsø Berdal, guida prescelta per questo nostro viaggio (foto copertina) – legge ai bambini una fiaba norvegese. Siamo nel mondo del Grande Nord, dove i venti parlano, gli orsi trasportano le ragazze sulla schiena, i troll lanciano incantesimi malvagi. I bambini la ascoltano rapiti, mentre fuori nevica. “Il principe e la ragazza andarono a vivere lontano dal castello, a oriente del sole e a occidente della luna“: è la fine di una storia che sembra l’inizio di una vita. Eppure, la favola di Edvard Munch si è conclusa presto: la morte di sua madre, seguita da quella dell’amata sorella Sophie, così come la devastante depressione del padre, segneranno ben presto la sua vicenda umana e artistica.
La mente e le passioni
Come racconta la sua biografa Sue Prideaux, Munch visse ottant’anni travagliati, tra problemi psichiatrici, alcolismo e isolamento. Eppure, la lettura psicoanalitica della sua opera non basta. I lasciti di Munch sono troppo potenti: come artista, ha riempito decine di taccuini con pensieri, schizzi e annotazioni e ha accumulato centinaia dei suoi dipinti e stampe. Storici dell’arte come Jon-Ove Steihaug, Direttore del Dipartimento Mostre e Collezione del Museo MUNCH di Oslo, Giulia Bartrum, per decenni curatrice del British Museum, e Frode Sandvik, curatore del Kode di Bergen, analizzano i temi e le ossessioni della sua opera, ma anche le sue abilità artistiche e le diverse tecniche che ha utilizzato. La ricerca di Munch sull’animo umano e il suo tentativo di tradurre le emozioni su tela o carta trovano corrispondenza con le tecniche sperimentali che ha scelto di adottare, rendendo così le sue opere, come spiega la restauratrice Linn Solheim, estremamente fragili. Cruciale è anche l’esperienza della bohème fin de siècle: Munch ha vissuto da bohémien prima a Kristiania, dove rideva dei morti viventi borghesi divertendosi insieme allo scrittore anarchico Hans Jæger, al pittore Christian Krohg e alle donne dallo spirito libero che incarnavano una figura femminile moderna e indipendente nella società; e più tardi a Berlino, dove fece amicizia con il drammaturgo August Strindberg e si innamorò della magnetica Dagny Juel, frequentando satanisti e dottori che sperimentavano l’utilizzo della cocaina. Come spiega il Direttore del Museo Munch Stein Olav Henrichsen, gli artisti sono sempre in opposizione al proprio tempo, anche se – guardando indietro – li consideriamo rappresentativi di un particolare periodo della Storia.
Munch e le donne
Anche il complesso rapporto di Munch con le donne, del resto, non può essere spiegato solo a partire dalle vicende biografiche, come la burrascosa relazione con Tulla Larsen, l’amante che sparò a Edvard durante una lite generata dal suo ennesimo rifiuto di sposarla. Tulla era solo una delle “Donne Vampiro” che Munch incontrò durante la sua vita. Per lui, trauma e arte, desiderio e tormento si fondono costantemente in un’intensa riflessione sulla donna: questa “sirena” ed enigmatica “sfinge”, per usare le parole dell’artista, che attrae e spaventa l’uomo, come ha sottolineato anche la scrittrice Gunnhild Øyehaug.
Il paesaggio nordico e il concetto di tempo
Nel docufilm emergono anche i legami più intimi con i paesaggi del Nord e i suoi colori vividi. Essi risuonano nelle composizioni di Edvard Grieg, che trascorreva le sue estati nella natura della collina di Troldhaugen a Bergen. Lui ha saputo ricreare la sensazione del “trovarsi a casa”, come ci trasmette anche il pianista Leif Ove Andsnes. Ci sono poi i luoghi più cari a Munch: la foresta e la spiaggia di Åsgårdstrand, Vågå e i panorami montuosi degli antenati di suo padre, la casa dei pescatori a Warnermünde, in Germania, la tenuta Ekely vicino a Oslo, dove l’artista trascorse gli ultimi trent’anni della sua vita, solo con il suo cavallo Rousseau e i suoi cani, visitato di tanto in tanto dalle modelle prescelte. Lì continuava a tornare sui soggetti dei suoi dipinti, in una sorta di ripetizione compulsiva. Negli occhi anziani degli ultimi autoritratti possiamo vedere la storia di inizio Novecento, le vibrazioni dell’etere che provenivano dalle nuove scoperte scientifiche elettromagnetiche, e quelle ambigue relazioni di amore e dolore che costellarono la lunga vita dell’artista.
Ma ancora – come suggeriscono gli storici dell’arte Elio Grazioli e Øivind Lorentz Storm Bjerke – in questa continua ripetizione, così come negli esperimenti visivi attraverso il cinema e la fotografia, possiamo trovare la chiave per entrare nel Tempo di Munch. Ciò che resta è una richiesta di salvezza, una sorta di apertura agli spiriti, ai fantasmi che aleggiano intorno a noi, “con Molecole più leggere e inconsistenti”. A oriente del sole, a occidente della luna.
“Ogni forma d’arte, di letteratura, di musica deve nascere nel sangue del nostro cuore. L’arte è il sangue del nostro cuore”.
Edvard Munch