Giovedì 15 novembre Lab 80 Film porta nelle sale italiane il film che ha stravinto il 35esimo Torino Film Festival: Non Dimenticarmi (Don’t Forget Me) di Ram Nehar. Miglior Film, Miglior Attrice, Miglior Attore e Premio Avanti: questo il bottino del primo lungometraggio del regista israeliano all’ultimo festival del cinema di Torino.
Il film
Non Dimenticarmi è un film capace di raccontare in modo delicato, vitale, drammatico e divertente la storia “d’amore” tra Tom (Moon Shavit), ricoverata in una clinica per disturbi alimentari, e Neil (Nitai Gvirtz), suonatore di tuba con problemi psichiatrici. Una storia che ha come protagonista prima di tutto la fuga dei due giovani, che dal momento in cui incrociano le loro strade cercano di sfuggire in modo emozionante e imprevedibile a tutto quanto è “socialmente accettabile”. Che siano innamorati o no, Tom e Neil si appoggiano l’uno all’altra per trovare una nuova via, d’uscita o d’entrata a seconda della prospettiva da cui la si guarda: quella “malata” dei due ragazzi o quella “sana” della società che cerca di dar loro una possibilità di normalizzazione.
La società è rappresentata dalla famiglia di Tom, che si regge su rigide convinzioni ideologiche, e dalla clinica per disturbi alimentari, in cui le ospiti non fanno altro che trovare stratagemmi per nascondere ai medici le manifestazioni della propria patologia e poter continuare a viverla. Tra confronti aspri, scazzottate notturne, confessioni commoventi e sbronze improbabili, Tom e Neil cercheranno di trovare la loro “nuova strada”.
Vi presentiamo un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Ram Nehar.
Nel film le istituzioni che dovrebbero rappresentare la “normalità” sono sconcertanti. La clinica per i disturbi alimentari è un luogo spersonalizzante, dove le pazienti continuano a coltivare nascostamente le proprie ossessioni, e la famiglia di Tom sembra reggere solo grazie a ipocrisia e ideologia. È questa la realtà che hai osservato e ti ha ispirato?
Per molti anni ho organizzato workshop per persone con disturbi psichici: realizzavamo cortometraggi, fiction, documentari, sceneggiature teatrali, video clip e altro ancora. Ho visto spesso la paura delle persone che vengono dal mondo di fuori, quello che non conosce la malattia mentale. Le persone avevano paura che i “malati” potessero essere violenti nei loro confronti o che in compagnia dei “pazzi” le loro problematiche psichiche potessero saltar fuori. Per la società è molto comodo stabilire chi è “pazzo” e chi non lo è, permette di tenere lontano chi viene definito come malato. Le definizioni psichiatriche sono importanti per i professionisti che lavorano nell’ambito della psichiatria ma per la società possono diventare un’arma usata per escludere. Per questo nel nostro film era importante confondere la linea di separazione tra sano e malato. Ossessioni, pazzia e paure sono ovunque, dentro le mura degli istituti e all’interno della stessa vita famigliare.
Il film rappresenta una critica al modo in cui questo tipo di patologie vengono trattate?
Il film non è una critica alle istituzioni che trattano queste patologie, abbiamo semplicemente cercato nelle menti dei nostri personaggi. Non volevamo muovere accuse, semmai ricordare che dietro ogni definizione psichiatrica c’è una persona vera: spesso ce ne dimentichiamo. Il nostro obiettivo è stato sempre quello di vedere attraverso gli occhi dei nostri personaggi per capire come loro vedono se stessi e il contesto esterno.
Il film si apre con dei video-ritratti che presentano i personaggi. Questa scelta ha un significato particolare?
I video-ritratti vogliono ricordare a chi guarda che sta vedendo un film. Volevo dire allo spettatore che è permesso ridere, che Non dimenticarmi è una specie di commedia distorta e romanticamente dark. Non è mai stata mia intenzione far sprofondare lo spettatore in dolore e tristezza.