C’è una figura che il cinema italiano dovrà eternamente ringraziare e non dimenticare mai: quella del caratterista. Personaggi unici e attori davvero straordinari, capaci di esaltare le gesta dei protagonisti attraverso un volto, un’espressione, una movenza, una voce: un carattere, appunto. Il regista fiorentino Michele Coppini ha voluto celebrarli con Ora Non Ricordo il Nome, un docufilm in cui, insieme a Stefano Martinelli, ha intervistato indimenticabili caratteristi del nostro cinema: Stefano Ambrogi, Paola Tiziana Cruciani, Isa Gallinelli, Camillo Milli, Luciano Casaredi, Franco Pistoni, Sandro Ghiani, Pietro Fornaciari e Sergio Forconi. Tra gli intervistati, anche il giornalista Marco Giusti.
Ora Non Ricordo il Nome, che Coppini ha anche scritto in collaborazione con Massimiliano Manna, è un racconto che mescola documentario e sketch comici con l’intento di ricordare ed esaltare la figura del caratterista, sempre meno utilizzata dal moderno cinema italiano. Rivedere e riascoltare certi protagonisti silenziosi e comprimari, che qui si prendono legittimamente la scena, è emozionante e il pregio di questo film è quello di mantenersi in equilibrio tra nostalgia e leggerezza. Quest’ultima raggiunta anche grazie alla frizzante e ben riuscita colonna sonora di Silvia Vavolo, che canta la canzone che dà il titolo al film.
Michele Coppini, come già avvenuto con Zero Bagget, è anche davanti alla macchina da presa insieme a Martinelli (con cui aveva già fatto la web-serie Calcio all’Italiana). I due interpretano due amici che lavorano in una videoteca di Firenze in cui nessuno noleggia più nulla. Durante una normale giornata lavorativa non proficua, Michele viene colto da una specie di raptus cinematografico e decide di dedicarsi anima e corpo ai caratteristi italiani. Un viaggio che fa per se stesso, come personaggio, e per noi spettatori, come regista. E noi, per questo, lo ringraziamo.
Presentato in anteprima al Cinema Spazio Alfieri di Firenze, il docufilm – prodotto da Officine Papavero, in collaborazione con Cribari Film – nelle prossime settimane avrà una distribuzione in sala alternativa. Sarà infatti distribuito dall’Associazione Anémic, tra Firenze e Roma, con una sola proiezione al giorno e ogni volta in un cinema diverso. “Più che distribuzione alternativa mi piacerebbe chiamarla distribuzione on the road…” afferma il regista Michele Coppini che abbiamo deciso di intervistare.
“Non esistono piccole parti, esistono piccoli attori”. Come mai hai scelto questa citazione di Stanislavskij all’inizio del documentario?
Perché è una frase di estrema sintesi, che spiega al meglio la figura dell’attore. Un grande attore, infatti, riesce a rendere memorabile anche un piccolo ruolo, al contrario di molti protagonisti che invece non hanno la forza di lasciare il segno.
Fisico e carisma: per definire il caratterista hai usato la metafora di un bel quadro e della sua cornice. Ce lo puoi spiegare?
Beh, come dico anche nel film, un bel quadro necessita assolutamente di una bella cornice per risaltare al meglio, se trascuri la scelta di questa anche il quadro perde il suo valore. Questo vale anche per il caratterista, più importante è il film e più bravo dev’essere l’attore che interpreta questo ruolo, all’apparenza secondario, ma che invece dà risalto ai protagonisti.
Uno di loro, Franco Pistoni, ha detto con un po’ di rammarico di aver preferito essere considerato attore ma che ormai era stato “etichettato” come caratterista. Con le tue domande hai aperto un dibattito sull’accezione del termine. Chi è davvero il caratterista? Un mancato protagonista o uno straordinario interprete?
Sicuramente fra loro ci sarà anche qualche protagonista mancato o qualcuno che avrebbe sognato di stare sulle copertine ma credo che non sia così per la stragrande maggioranza, altrimenti sarebbe come dire che l’imbianchino è un pittore mancato. Credo che quando inizi a pensare di voler fare un mestiere, ti immagini di volerlo fare al massimo poi, piano piano, cominci ad aggiustare il tiro, a prendere atto di quello che sei e di quello che puoi fare e dopo decidi, scegli, fai compromessi. Comunque sia credo che, fare il caratterista, non sia un ruolo di ripiego ma anzi, come detto prima, è uno dei ruoli più difficili e complicati in assoluto, una figura che la maggior parte dei protagonisti non saprebbe interpretare.
Isa Gallinelli ha detto che oggi i caratteristi sono diventate delle “macchiette”; Stefano Ambrogi afferma che per loro oggi “c’è meno spazio, ma non spariranno mai”; ancor più cinico Sandro Ghiani, che ha denunciato “sono scomparsi e con loro è scomparso il cinema”. Tu come definisci la situazione?
Penso che bisognerebbe salvaguardare il cinema in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi ruoli. Credo che per trovare nuovi caratteristi, come i tantissimi che abbiamo avuto in passato, si possa, per esempio, inserire tra le candidature ai David di Donatello anche quella del miglior caratterista (come tra l’altro mi confidò anche Stefano Ambrogi). Però bisogna salvaguardare anche il lavoro di chi sta dietro la macchina da presa, come ad esempio l’elettricista, il macchinista, perché queste figure vengono chiamate sempre meno e sempre a meno. E poi bisognerebbe investire anche su giovani autori, registi, attori. Perchè oggi i produttori veri sono pochissimi e quei pochi investono solo sul sicuro. Anche il Tax Credit, per esempio, non è una possibilità in più per chi magari viene dal mondo indipendente come me, ma un’aiutino alle solite grandi case di produzione.
Paola Tiziana Cruciani ha detto che oggi molti “artisti”, o presunti tali, recitano come se fossero attori. Senza aver studiato recitazione né aver messo piede in teatro. Al limite hanno fatto dei video su Youtube… Lo stesso Stefano Ambrogi sottolinea come oggi il cinema italiano, in particolare quello legato ad una certa commedia, sia molto più approssimativo, “buona la prima”. Tu sei d’accordo?
Tutto si riaggancia alla risposta di prima. Cioè, se le produzioni non salvaguardano determinate professioni per risparmiare sempre più, è normale che tutto sia più approssimativo. Anche in fase di scrittura si tende a fare copia e incolla dalle sceneggiature di successo di uno o due anni prima. Per quanto riguarda i reality o youtube invece, secondo me, non sono il diavolo, ma se la maggior parte dei nuovi arrivano da lì, allora c’è davvero il rischio di creare una qualità “infernale”.
Ora Non Ricordo il Nome offre uno sguardo nostalgico verso il cinema italiano del passato che oggi non c’è più. E pure nella videoteca, nessuno viene più a noleggiare i film…
Per quanto riguarda l’home video, lo streaming, non è certo una cosa da mettere in secondo piano. In più il passaggio televisivo immediato dei film appena passati dal cinema ha ucciso definitivamente le videoteche. Una volta, prima che un film andasse in tv passava almeno un anno dall’uscita in sala. Oggi poi non si girano più i film di una volta perché sono cambiati i tempi, gli interpreti e i mezzi tecnici, come il passaggio dalla pellicola al digitale.
Il finale l’hai voluto dedicare a Carlo Monni. C’è un motivo particolare?
Era un atto dovuto da parte mia. Non potevo girare un film sui caratteristi e non omaggiare questo grande attore e grande uomo. È stato lo zio di tutta la nostra nuova generazione di registi e attori toscani. Praticamente, a turno, andavamo sotto casa sua in centro a Firenze e gli camminavamo accanto fino alla Cascine, dove lui andava a fare due passi. Durante quella lunga camminata gli raccontavamo nuovi corti, nuovi film, nuovi sogni, in pratica sembrava più una seduta dallo psicologo che un vero e proprio incontro professionale. Alla fine, dopo che gli avevamo raccontato la trama e il personaggio che avremmo voluto che interpretasse, si fermava, ci guardava ed esclamava: “va bene, lo fo!” e quasi sempre, imbarazzati, noi precisavamo: “però guarda Carlo purtroppo non ti possiamo pagare…” e lui: “questo l’avevo belle e capito. Ma se ti dico che lo fo lo fo!“. Ecco, capisci bene che non potevo fare a meno di dedicargli questo docufilm. È il mio ringraziamento sincero, fatto col cuore.
Intervista di Giacomo Aricò