Venerdì 13 Settembre, al PAV (Parco Arte Vivente) di Torino, prende il via la quarta edizione del Teatrum Botanicum, il festival dedicato ad artisti e curatori emergenti il cui lavoro si colloca nello spazio interstiziale tra pratiche e riflessioni artistiche ed ecologiche proprie del centro d’arte contemporanea. Tra gli artisti coinvolti, abbiamo deciso di intervistare Jacopo Rinaldi, regista e ricercatore che, attraverso il cortometraggio Real Chernobyl, ha indagato il rapporto tra memoria, oblio e architettura, con uno sguardo puntuale sulla società e l’ambiente.
Intervista a Jacopo Rinaldi
Real Chernobyl, un corto di 15 minuti che ripercorre i luoghi del prodotto falso, divulgato subito dopo la tragedia del 1986 e comprato dalle tv americane come Abc e Nbc. Un lavoro che pone l’attenzione sul “luogo d’indagine” e i mezzi che abbiamo a disposizione per modificare la realtà, nonché falsificarla. Questo modus operandi solleva dubbi e punti interrogativi su due grandi temi attuali: le fake news e la crisi climatica.
Vorrei partire dal tuo ultimo lavoro, Real Chernobyl. Di cosa si tratta nello specifico?
Si tratta di un video di 15 minuti girato all’inizio di questa estate in cui ho cercato di ricostruire le vicende e i movimenti dell’uomo che ha venduto alle tv americane Abc e Nbc i primi video del disastro di Chernobyl. Questo video si rivela presto un falso girato nella periferia di Trieste. Il mio video ripercorre i luoghi di questo falso: l’acropoli sanitaria di Cattinara, il quadrilatero di Melara, fino alle camere d’albergo del centro di Trieste dove avvennero le trattative con le televisioni americane.
Il video “fake” del 1986, è stato il punto di partenza. Il tema, però, è attualissimo se si pensa alla comunicazione e alle “fake news”. Cosa vuoi esprimere con questo corto?
Quando lavoro su eventi di cronaca passati ho sempre l’esigenza di immergerli nel presente. Oltre al falso giornalistico delle “fake news”, trovo molto interessante quello che sta emergendo dalle nuove tecniche di falsificazione delle immagini e dei video. Lo sviluppo di nuove tecnologie sta permettendo la diffusione di un grande numero di falsi, basti pensare al rapporto tra video e deepfake. Un secondo aspetto che volevo far emergere dal video riguarda la crisi climatica. Il video è stato girato nel giugno più caldo mai registrato. Nella scrittura e nel montaggio del video mi sono reso conto che questo aspetto doveva emergere perché mi aiutava a raccontare il disastro ambientale di ieri attraverso le angosce di oggi.
Istallazioni, opere e cortometraggi. C’è un fil rouge che unisce le tue opere?
Tutti i miei lavori partono dalla ricerca di un soggetto. La scelta del mezzo con cui raccontare quel soggetto è sempre una scelta successiva. Forse il tema dell’archivio, o della memoria in generale, accomuna tutti i miei lavori.
Qual è la forma d’arte che ti permette di esprimerti al meglio?
Probabilmente la fotografia. Anche i video che realizzo hanno una forte impronta fotografica nella scelta delle inquadrature, nella composizione e nell’utilizzo di tante immagini fisse.
Il cinema è la settima arte. Che cosa significa, oggi, essere un artista?
Per me non è molto diverso da altri ambiti, come la ricerca scientifica, il giornalismo o l’artigianato. Sicuramente sento di avere un più ampio raggio d’azione anche se a volte questa libertà rischia di immobilizzarti.
Intervista di Selene Oliva