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Reflection, la violenza disumana della Guerra raccontata da Valentyn Vasjanovyč

In segno di solidarietà con i cineasti e tutto il popolo ucraino, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, in collaborazione con il distributore italiano Wanted, dal 17 marzo nelle sale italiane arriva Reflection (Vidblyskdel regista ucraino Valentyn Vasjanovyč, presentato in concorso alla 78. Mostra di Venezia 2021. Ambientato durante la guerra del Donbass del 2014, Reflection è un film di crudo realismo che evoca lo scontro diplomatico-militare tra Russia ed Ucraina, iniziato nel febbraio del 2014, per il controllo della Crimea e del Donbass. 

Il film

In Reflection, il chirurgo ucraino Serhiy (Roman Lutskiy) viene catturato dalle forze militari russe durante la guerra del 2014 nel Donbass, nell’Ucraina orientale. Mentre è prigioniero assiste a spaventose scene di umiliazione, violenza e indifferenza verso la vita umana. Dopo il rilascio, tenta con fatica di tornare alla quotidianità dedicandosi a ricostruire i rapporti con la figlia e l’ex moglie. L’uomo in un atto di rinascita cercherà di ritrovare l’umanità persa e il suo ruolo di genitore.

Aspettando Atlantis

Tali temi – l’orrore e la violenza disumana della guerra – sono presenti anche nel precedente film di Vasjanovyč, Atlantis (Atlantyda2019), ambientato in un futuro molto prossimo in Ucraina orientale, diventata dopo la guerra un deserto inadatto alla presenza umana. Qui Sergeij, ex soldato che soffre di stress post-traumatico, tenta di adattarsi alla nuova realtà specializzandosi nel recuperare cadaveri di guerra. Atlantis ha vinto il Premio per il miglior film della sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia 2019. È stato scelto come candidato ucraino agli Oscar.

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Valentyn Vasjanovyč racconta…

«Resto a Kyiv. Voglio essere tra persone consapevoli della loro appartenenza etnica, culturale e politica. Voglio essere tra queste persone per acquisire esperienze importanti che mi aiuteranno a creare storie vere su di loro. Questo mio  film si rivolge a un pubblico pensante, un pubblico che non ha paura di sollevare domande dure su traumi pesanti né di cercare risposte».

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