Un coro di uomini. Un direttore donna. Una famiglia e una piccola comunità che hanno bisogno di ritrovare il senso d’unione per affrontare la sfida del domani. Di questo parla Resina, il primo lungometraggio diretto da Renzo Carbonera – dal 31 maggio al cinema – ed interpretato da Maria Roveran, Thierry Toscan, Jasmin Mairhofer e Andrea Pennacchi.
La giovane violoncellista Maria (Maria Roveran) è delusa dallo spietato mondo della musica. Ritorna al paesino di montagna delle sue origini, una piccola enclave isolata dove si parla ancora una lingua arcaica: il cimbro. Qui trova una situazione familiare complessa e una piccola comunità alle prese con i primi effetti del cambiamento climatico. Quasi per caso, o forse perché è impossibile non trovarsi all’unico bar della piazza, Maria entra in contatto con il glorioso coro polifonico maschile di cui faceva parte suo nonno.
In realtà ora il tutto è in completo disarmo, affidato a una manciata di strampalati ubriaconi da bar, e Quirino (Thierry Toscan) è l’unico di loro a non volersi arrendere all’evidenza: sogna ancora di partecipare a un fantomatico concorso canoro, in grado di riportarli all’antico splendore. Per fare questo chiede aiuto a Maria, e lei accetta la sfida perché sotto sotto cerca un modo per riavvicinarsi al mondo della musica. Un caleidoscopio di personaggi tinge di ironia e ritmo il racconto di un piccolo mondo, alle prese con lo spauracchio del cambiamento climatico, e con la determinazione di Maria. Ne emerge la storia di una giovane donna in un mondo di uomini.
In molte comunità medio/piccole, un po’ in tutta l’Europa continentale, il coro del paese è un fondamentale collante sociale codificato nei secoli, una “resina” appunto. Il collegamento tra questo presupposto sociale e il tema dell’emancipazione femminile è fondamentale per definire questa pellicola. A maggior ragione in questo particolare momento storico, sempre più devastato da abusi e soprusi nei confronti delle donne, e della sotto-rappresentazione delle stesse.
L’intera storia è ispirata alle vicende recenti del Coro Polifonico di Ruda, un coro friulano di tradizione austro-ungarica, che ha saputo reinventarsi recentemente fino a diventare uno dei migliori cori maschili al mondo, da quando la direzione è stata affidata a un’ambiziosa musicista, Fabiana Noro. È da questo antefatto che è nato il film di Renzo Carbonera che abbiamo deciso di intervistare.
Esce al cinema Resina. Partirei dalla frase che pronuncia Quirino, uno dei protagonisti: “La Resina è fondamentale, è lei che fa stare assieme tutto”. Come mai avete scelto questo titolo/simbolo?
La Resina è come una colla, e in questo senso il titolo è una metafora. Nel film la protagonista Maria diventa la Resina che tiene unito il coro e un coro, in una comunità come quella in cui è ambientato il film, è la ‘Resina sociale’ che tiene unità la comunità.
In un mondo sempre più virtuale, dove si condividono foto e frasi ogni istante, quanto diventa importante riscoprire la reale condivisione? Mi riferisco alle comunità, ai legami sociali, allo stare insieme per ritrovare il senso d’unione per affrontare il domani…
La condivisione reale è anche un modo per porre un freno all’accelerazione che ci impone il mondo virtuale che ci stiamo costruendo. Questo film, per i tempi, le dinamiche, il respiro che ho cercato di dargli ambisce a trasportare lo spettatore in una dimensione contemplativa… un po’ come quelli che ora vengono chiamati ‘vini da meditazione’.
La parabola di Maria ed il suo legame contraddittorio con un’espressione di bellezza come la musica, segue la parabola della comunità che lei va ad illuminare. Quanto e come viene trattato l’importanza del ruolo della donna?
La donna in questo film di fatto è il sesso forte, che tiene le redini o che prende il destino per le corna. Del resto in questo senso mi ha ispirato molto la figura di Fabiana Noro, direttrice del coro polifonico maschile di Ruda, uno dei migliori cori al mondo, ma gli esempi potrebbero essere anche molti altri.
Avete girato il film a Luserna. Si può affermare che la montagna stessa è uno dei protagonisti del tuo film? Quanto è importanti ricordare comunità montane come queste, con le loro radici (come l’uso del cimbro)?
La montagna è sicuramente un protagonista del film perché ci ha aiutato a portare tutta la vicenda in una dimensione sospesa, quasi onirica a volte, sicuramente ovattata. Ho cercato di lavorare su una contrapposizione che mostrasse molti interni, anche stretti, e di contrappunto esterni con paesaggi molto ampi, vasti, per sottolineare questa sospensione e questa distanza dell’ambientazione dal mondo intorno. Come se l’estremamente locale in cui tutto si svolge in realtà sia lo specchio di una condizione e di stati d’animo estremamente globali che ci riguardano tutti.
Tra i temi trattati c’è anche quello del cambiamento climatico. Un aspetto che avete affrontato anche in fase di realizzazione del film. Ce ne puoi parlare?
Il cambiamento climatico è un tema sullo sfondo del film, ed il film stesso è il primo ad essere stato realizzato con il protocollo T-Green della Trentino Film Commission, un protocollo innovativo che ha reso il nostro set cinematografico ecosostenibile e a bassissimo impatto ambientale. Visti i temi ed i luoghi in cui abbiamo girato il film, ci sembrava fondamentale.
Le immagini e le note, cinema e musica, due forme d’arte che diventano poesia.In questo tuo primo lungometraggio, quanto la musica, oltre ai personaggi, è riuscita a far esprimere anche qualcosa di te?
La musica è espressione della bellezza, di ciò che di bello é in grado di fare l’umanità. Da contrapporre a tutto quello che facciamo di brutto (mi ricollego anche al discorso del cambiamento climatico a questo punto…), e come diceva Dostoevskij “La Bellezza salverà il mondo”.
Intervista di Giacomo Aricò