È iniziato in questi giorni il tour cinematografico (elenco date e sale qui) de La Botta Grossa, il documentario di Sandro Baldoni che racconta cosa è accaduto dopo il terremoto del 30 ottobre 2016 che ha nuovamente colpito il Centro Italia, dopo il sisma di Amatrice.
Un sisma che, pur non avendo fatto vittime, è stata la scossa più devastante che si ricordi da decenni, con interi paesi distrutti, 40mila persone sfollate e una situazione psicologica ancora oggi, un anno dopo, da centro psichiatrico a cielo aperto. La botta grossa, come la chiamano in Umbria e Marche. Un racconto ‘da dentro il terremoto’ fatto da chi è rimasto fuori di casa, come il regista. Una storia purtroppo già raccontata dai media, con uno stato di emergenza e urgenza che ha il tragico paradosso di rinnovarsi, di procrastinarsi. Il film ha un tono diverso, devia dall’ultim’ora. Racconta cosa accade a chi perde quasi tutto, da un anno a qui, a noi. Racconta come si sopravvive, e come poi si continua a vivere, nell’attesa di un intervento, da attendere. Non c’è (solo) dramma in questo racconto.
C’è il dolore, la perdita, lo sbigottimento, c’è un lampo, di volontà, di umanità, di auto-organizzazione. Non c’è retorica, al suo posto c’è chi trova ironia, il calore di una battuta. Il lampo per un sorriso. C’è il tentativo di smettere di sopravvivere – chi ha potuto, lo ha già fatto. C’è il tentativo di vivere. Scuotersi, dopo la scossa. E allora Baldoni intraprende un road-movie tra strade dissestate, con incontri in una Pro Loco divenuta una sorta di isola comune; tra villeggiature forzate al mare; scuole improvvisate, palestre divenute studi di psicologo, alternanze tra mondo web e racconti di anziani; o un eremita che solitario fa qualcosa che rappresenta decine di migliaia di persone. Ne La Botta Grossa si piange, e si ride, e si ricostruisce un’umanità sostenibile. Un film che parla di alcune persone in alcuni luoghi, e a tutti i cittadini di tutta Italia. “È un documentario fuori moda: ho voluto far parlare le persone in macchina, oppure filmarle mentre fanno qualcosa ma ogni tanto rivolgono parole e sguardi allo spettatore, facendolo partecipare“, sottolinea Sandro Baldoni.
Piuttosto che scegliere la strada del ‘finto vero’ in cui la macchina da presa sembra nascosta, ma è lì, tutti lo sanno e tutti cercano di comportarsi come se non ci fosse: “qui è stato anzitutto il calore emotivo della situazione a spingermi a mettere da parte le convenzioni formali più accreditate“. Il documentario racconta le ferite che hanno segnato le vittime della catastrofe attraverso alcune storie – spesso dolorose, a volte paradossali, altre perfino divertenti – girate tra Umbria e Marche. Il film punta a raccontare soprattutto quanto le persone sono state capaci di cavare da sé in condizioni così estreme, mostrando come, anche in tempi di imperante individualismo, sentirsi parte di una comunità possa spingere a reagire – tutti insieme – alle carenze istituzionali e all’angoscia del vuoto personale.
Se è vero che in un futuro prossimo potremmo essere costretti ad abituarci alle alluvioni, alle inondazioni, agli uragani e agli incendi, le testimonianze e le situazioni del film ci danno alcune indicazioni sulla capacità di reazione delle persone di fronte alla forza straordinaria della natura.