Tra i principali artefici di Rocco e i Suoi Fratelli – il capolavoro di Luchino Visconti che torna oggi in sala in versione restaurata e integrale – c’è anche l’estro e l’intelligenza di uno dei più grandi sceneggiatori della storia del cinema italiano: Enrico Medioli. Cresciuto con gli insegnamenti di Attilio Bertolucci, il padre poeta del regista Bernardo, Medioli mosse i primi passi come traduttore di copioni stranieri. Un’esperienza che gli fece apprendere la struttura della sceneggiatura e che lo portò negli anni a lavorare con grandissimi registi: Luchino Visconti (Rocco e i Suoi Fratelli, Vaghe Stelle dell’Orsa, Il Gattopardo, La Caduta Degli Dei candidato agli Oscar per la migliore sceneggiatura, Ludwig, Gruppo di Famiglia in un Interno, L’Innocente), Valerio Zurlini (La Ragazza con la Valigia e La Prima Notte di Quiete) e Sergio Leone (C’era Una Volta in America).
Sulla sua straordinaria figura, il regista Rocco Talucci nel 2013 ha ideato e diretto Ritratto di Sceneggiatore in un Interno un bellissimo documentario che, attraverso immagini, sequenze di film e interviste (tra gli altri, oltre allo stesso Medioli, anche a Piero Tosi, Claudia Cardinale, Charlotte Rampling, Adriana Asti e Umberto Orsini), compie un viaggio tra le pagine più belle del cinema degli ultimi cinquanta anni. La prima parte del documentario è dedicata proprio a Rocco e i Suoi Fratelli, ed è per questo che abbiamo deciso di intervistare il regista Rocco Talucci.
Oggi torna in sala, restaurato dalla Cineteca di Bologna, Rocco e i Suoi Fratelli di Luchino Visconti. Uno dei fautori di questo capolavoro è Enrico Medioli, al centro del suo documentario Ritratto di Sceneggiatore in un Interno. Era il primo film che faceva per Visconti. Come nacque e come andò quell’esperienza?
Enrico Medioli ha conosciuto Luchino Visconti già nei primi anni Cinquanta grazie allo scenografo Mario Chiari. Rocco e i Suoi Fratelli è il primo film che inaugura il fortunato sodalizio nella scrittura di Medioli e Visconti, a scrivere la sceneggiatura insieme a loro c’era Suso Cecchi D’Amico (che per Visconti aveva già scritto Bellissima, Siamo Donne, Senso e Le Notti Bianche), Massimo Franciosa e Pasquale Festa Campanile (lucano come la famiglia della quale nel film si racconta la storia). L’esperienza andò decisamente bene, dopo Rocco e i Suoi Fratelli – tranne per Morte a Venezia e Lo Straniero – Medioli firmerà tutte le sceneggiature dei film di Visconti.
Molti credono che ad aver ispirato la storia del film sia Il Ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori. In realtà, però, l’idea è venuta prima a Luchino Visconti durante un funerale. Un’idea poi sviluppata da Susi Cecchi d’Amico e Pratolini. È corretto?
L’idea è di Visconti, sì. Medioli racconta che questa ispirazione per la storia venne a Visconti quando ad un funerale vide una donna, una madre, con cinque figli. “Cinque dita di una mano“, disse Visconti. Vero anche di una prima stesura di Pratolini (che scrisse un soggetto ricchissimo e lunghissimo). Testori entra in un secondo momento su suggerimento di Medioli, più che Il Ponte della Ghisolfa ci sono delle atmosfere ispirate al mondo dei racconti di Testori (come la periferia milanese della fine degli anni Cinquanta o l’ambiente della boxe) che certamente non potevano appartenere a Pratolini che era toscano.
Pietro Tosi, il costumista del film, ha detto che questo film rappresentava una “rottura” poiché era il primo film “con carattere di violenza e disperazione”. Lei cosa pensa del potere di questa pellicola? Quanto riesce ancora a sconvolgere nel 2016?
Lo spettatore del 2016 forse è abituato a tutto, non so quanto possa sconvolgere oggi. Mi incuriosisce e affascina (da qui anche uno dei motivi per girare Ritratto di Sceneggiatore in un Interno) maggiormente leggere o studiare le reazioni di tanto clamore dell’epoca. C’è uno stupro, un omicidio: scene forti e raccontate senza sconti, di sicuro non è un film che lascia indifferenti.
Per lei cosa rappresenta questo film?
È un capolavoro, non penso sia un parere personale. L’altro giorno leggevo on line pareri spontanei, quasi recensioni, di chi lo ha visto in sala in America nei giorni scorsi: gente lontana nello spazio e nel tempo (parliamo di un film che ha oltre cinquanta anni)… ma piace, emoziona ancora. Per me rappresenta molte cose ed è un film che negli anni torno a vedere in dvd o in qualche retrospettiva in sala. Ogni volta c’è qualche dettaglio, un movimento di macchina da presa per esempio, o il doppiaggio di Achille Millo per Delon in uno strano accento lucano che prende la mia attenzione. Da ragazzino lo guardavo in vhs, poi in dvd, poi grazie a Guido Lombardo della Titanus ho avuto l’onore e la gioia enorme di potere inserire degli estratti in Ritratto di Sceneggiatore in un Interno. È un film al quale sono legato. Mi ha incuriosito molto trovare informazioni e materiali sulle scene che non sono mai state girate, una specie di antefatto da girare in Basilicata. Piero Tosi mi ha raccontato di sopralluoghi e della scena del funerale del capofamiglia (che precede, appunto, il trasferimento dei Parondi a Milano) con la bara che veniva fatta scivolare nel mare… ma sappiamo tutti che esiste una storia del cinema mai girato parallela a quella che tutti conosciamo.
Quale sequenza le è rimasta più impressa?
La scena girata sul Duomo di Milano con Annie Girardot e Alain Delon in lacrime e il sottofondo musicale di Nino Rota: è una di quelle che – se si ama il cinema – si ricordano per tutta la vita.
Passiamo ad una scena ben diversa, quella dell’omicidio all’idroscalo che in realtà è stata girata al Lago di Paola, a Sabaudia. È l’unica sequenza non girata a Milano. Ci ricorda come mai non fu possibile girarla nel luogo originale della sceneggiatura? Che potere hanno ancora oggi quella scena e quella dello stupro? Oggi al cinema uscirà la versione restaurata e integrale senza la censura….
Il Comune di Milano non aveva dato il permesso per di girare in quel posto. Nadia verso la fine del film è tornata a prostituirsi all’Idroscalo dove incontrerà Simone e la morte, la scena è molto cruda: una coltellata, due, tre… Non è difficile immaginare il motivo di questo divieto. E’ un omicidio che segue un’altra scena amarissima (quello stupro di Nadia sotto gli occhi di Rocco); oggi parliamo di femminicidio, cambiano i termini e l’attenzione che si ha verso certi fenomeni , ma certe brutte storie si ripetono nel tempo.
Ambientato all’inizio del boom economico, che significato ha vedere oggi Rocco e i Suoi Fratelli in questa fase storica particolarmente delicata?
Il cinema può essere tante cose e prestarsi a diverse letture: evasione, sogno, approfondimento… Alcuni film, come questo, diventano anche un documento del momento storico nel quale sono stati girati. Milano oggi certamente non è più la città dei giorni di Rocco e i Suoi Fratelli, dell’Alfa Romeo di Portello e dello scantinato dei Parondi nel quartiete Fabio Filzi ma parliamo ancora – e mi riferisco non solo a Milano ma al nostro paese- di immigrazione (che ha altri cognomi o colori) o di violenza. Rocco è anche una occasione per pensare a quanto e come siamo cambiati.
Melanconico e amaro: i personaggi di Medioli hanno cuore e sembrano emanare un calore particolare. Lei come li definisce? Si può trovare una suo segno distintivo?
Ho dedicato oltre un anno di ricerche, insieme all’altro autore Maurizio Pusceddu, al lavoro di questo sceneggiatore così importante occupandomi anche del Medioli meno noto e quindi quello di autore di una commedia musicale per il teatro scritta insieme a Giuseppe Patroni Griffi, Franca Valeri e Vittorio Caprioli dal titolo Lina e il Cavaliere, di librettista per un’opera lirica diretta da Visconti o come autore di uno dei primi spettacoli la tv; oggi sui personaggi creati da Medioli potrei dare un giudizio di parte e quindi preferisco rispondere alla seconda domanda. Nelle sceneggiature di Medioli c’è sempre molta attenzione alla psicologia del personaggio più che alla storia dello stesso: questo è il suo segno. In Rocco e i Suoi Fratelli, per esempio, Il lavoro sulla psicologia di Simone (Renato Salvatori), personaggio scritto da Medioli, influenza il corso del racconto, non lo subisce.
Medioli lavorò nuovamente con Visconti, e poi con altri grandissimi: da Leone a Bolognini, dalla Cavani a Zurlini. Secondo lei Rocco e i Suoi Fratelli si colloca tra i momenti più alti della sua carriera?
Decisamente. Tanto che l’importanza dei film che Medioli ha scritto per Visconti alle volte prende il sopravvento sul resto del suo lavoro di sceneggiatore per altri registi (ricordiamo anche Caprioli). A me piace ricordare, tra i momenti più alti della sua carriera, anche La Ragazza con la Valigia girato da Valerio Zurlini. Film ambientato nella sua Parma e uscito proprio qualche mese dopo Rocco e i Suoi Fratelli.
In Rocco e i Suoi Fratelli vediamo anche in un piccolo ruolo Claudia Cardinale che nel suo documentario afferma: “Il Cinema di quegli anni ti faceva sognare”. Lei cosa pensa di questa affermazione? Il cinema di oggi può ancora farci sognare?
Come darle torto! Claudia Cardinale è immagine e testimone del cinema di quegli anni, cinema che fa ancora sognare. Il cinema di oggi è diverso, è difficile paragonare due modi e mondi così differenti. Sogni diversi, ma si, il cinema di oggi può ancora farci sognare.
Intervista di Giacomo Aricò