Quarto film a stelle e strisce per Gabriele Muccino che ha diretto Padri e Figlie – Fathers & Daughters, una storia d’amore tra un padre e una figlia che vivono a New York City. Protagonista un grandissimo cast: Russell Crowe, Amanda Seyfried, Aaron Paul, Diane Kruger, Jane Fonda, Octavia Spencer e le candidate all’Oscar Quvhanzané Wallis e Janet McTeer. La colonna sonora è firmata da Paolo Buonvino.
Il racconto che si svolge su due piani paralleli ma lontani nel tempo. La trama infatti si sposta avanti e indietro tra gli anni ‘80, il periodo in cui Jake Davis (Russel Crowe), romanziere premio Pulitzer rimasto vedovo, lotta contro un serio disturbo mentale mentre cerca di crescere nel miglior modo possibile la figlioletta Katie (Kylie Rogers) di 5 anni. 25 anni dopo, Katie (Amanda Seyfried) è una splendida ragazza che vive a Manhattan, da anni lontana dal padre, combatte ancora i demoni della sua infanzia tormentata e l’incapacità di abbandonarsi ad una storia d’amore con un ragazzo che la ama davvero, Cameron (Aaron Paul).
Padri e Figlie nasce da una sceneggiatura di Brad Desch: “sono rimasto immediatamente colpito dalla sua forza e ampiezza di piani di racconto e di possibilità di lettura dei personaggi e delle storie che la definiscono” racconta Gabriele Muccino.
Per Muccino, quella di Desch è infatti “una storia con una struttura che riesce con grazia a far convergere in modo organico e naturale un microcosmo di umanità ferita da abbandoni, ammalata di avidità e colma di amore, in un’unica narrazione, senza mai perdersi in una delle sue tante sotto trame”.
Con lo sviluppo della storia assistiamo allo svolgimento del racconto su due binari che si incrociano continuamente, eppur marciano paralleli e ci permettono così di assistere contemporaneamente all’infanzia della bambina Katie e alla sua età adulta nella New York di oggi, 25 anni dopo, quando divenuta ormai una giovane donna, studia psicologia e vuole dedicarsi all’assistenza di bambini con turbe e traumi della psiche.
A dare vita al personaggio di Katie adulta è Amanda Seyfried, una donna che non sa amare ed è catturata nell’eterna ricerca di un padre che non potrà ritrovare. E’ una ragazza che non riesce a lasciarsi andare tra le braccia di un uomo che la ami, per la costante paura di perderlo, per lo smarrimento che ne conseguirebbe, e per quella che è la madre di tutte le paure, ovvero la morte. Katie fugge dalla vita perché ha paura di viverla. Anche l’abbandono da parte di chi si ama sarebbe per lei come un nuovo lutto.
E allora, dal suo punto di vista, è meglio non amare, usare gli uomini come distrazioni veloci, passarci insieme poco tempo, senza legami, senza complicazioni di alcun genere e via. Il viaggio che Katie dovrà compiere sarà proprio quello di riuscire a superare il suo istinto autodistruttivo per imparare infine ad arrendersi all’amore.
Per Gabriele Muccino “amare è difficile, è complicato, può essere doloroso e tanto”, anche se siamo tutti figli: “anche quando siamo genitori, siamo comunque figli in cerca di qualcuno che ci ami e a cui dare il nostro amore”. Così tutti noi siamo il risultato delle nostre infanzie: “siamo spugne viventi, gonfie del risultato di una programmazione involontaria che il nostro subconscio ha respirato nel nostro habitat primordiale, nella nostra famiglia, con i nostri amici e in virtù di tutto ciò che abbiamo vissuto, visto, ascoltato, durante quei nostri primi anni di vita”.
Crescendo, poi si diventa adulti, guidati dalla nostra natura e dal nostro istinto: “ci misuriamo con la proiezione di chi crediamo o desideriamo di essere e chi siamo veramente: il film parla fondamentalmente di crescita e noi siamo, in misura non quantificabile, il risultato di ciò che abbiamo vissuto da bambini”.
Amanda Seyfried porta a casa, secondo Muccino, una performance potente “navigando sempre su un filo invisibile in cui avrebbe potuto, col comportamento autodistruttivo del proprio personaggio, perdere facilmente la simpatia del pubblico. Non nascondo di averla guidata e diretta ma lei è stata un autentico cigno che ha preso il volo ogni volta che le ho chiesto di volare. E infatti conquista il pubblico proprio perché la sua vulnerabilità di bambina mai cresciuta, la sua lotta contro le proprie paure, crea una fortissima ed eccezionale, secondo me, empatia nei suoi confronti“.
Lavorare con Russell Crowe è stata un’esperienza che ha lasciato il regista a bocca aperta: “è un gigante assoluto, un professionista tenace che porta sul set, e nel personaggio che incarna, una profondità, una forza attoriale, una serietà di approccio e allo stesso tempo una dolcezza che francamente non potevo aspettarmi“.
Il film è un dramma che coinvolge padre e figlia, tutti e due impegnati a combattere i loro demoni. E per il regista italiano la chiave del film è il coraggio e la reazione, “perché la vita è anche capace di fare questo: di piegarci e di lasciarci a terra inermi e confusi, e se non siamo forti abbastanza da rialzarci e andare avanti senza mollare, rischiamo di non rialzarci più”.
“Possiamo illuderci di fuggire dal dolore e dal lutto, ma prima o poi, dobbiamo fare i conti con tutta la meraviglia e la sofferenza della vita”
Gabriele Muccino