Tratto da fatti realmente accaduti e opera seconda del regista palestinese Muayad Alayan, il 24 aprile, arriva nelle nostre sale Sarah e Saleem – Là Dove Nulla è Possibile un film che al Festival di Rotterdam ha conquistato sia il Premio del Pubblico Hubert Bals che il Premio Speciale della Giuria per la Sceneggiatura, firmata dal fratello del regista, Rami Alayan.
Il film
Sarah (Sivane Kretchner) è israeliana e gestisce un bar a Gerusalemme Ovest. Saleem (Adeeb Safadi) è palestinese, vive a Gerusalemme Est e fa il fattorino. Provengono da mondi distanti anni luce, eppure, sfidano il destino per incontrarsi di nascosto nel furgoncino che Saleem usa per il lavoro e consumare lontano da occhi indiscreti un veloce rapporto sessuale. Si amano? Forse no. Ma quegli attimi rubati sono per entrambi un momento di complicità per evadere dalle tensioni che avvertono nelle rispettive famiglie. Sarah è sposata con un colonnello dell’ esercito, molto preso dal suo lavoro, che lo costringe a continui trasferimenti. Saleem, orgoglioso, è stanco di subire l’influenza della famiglia della moglie la quale, in attesa di un bambino, non disdegna l’ aiuto economico del fratello per arrotondare il modesto stipendio del marito. Nessuno è a conoscenza di questa relazione illecita, né Sarah né Saleem sembrano intenzio- nati a spingersi oltre al loro incontro clandestino e sporadico.
Ma una sera, trovandosi loro malgrado nel posto sbagliato al momento sbagliato, quello che doveva essere un affaire totalmente privato e rimesso unicamente al giudizio delle rispettive coscienze, subisce una svolta tanto repentina quanto incontrollabile. Sarah e Saleem si ritrovano intrappolati nelle maglie della tensione tra le forze occupanti e la resistenza palestinese, in un crescendo di inganni e mistificazioni che nemmeno la verità sembra più essere in grado di fermare. Un crescendo di tale portata da trasformare le conseguenze esclusivamente private di un tradimento in un’ ingiustizia di dimensione politica e sociale molto più grande, quella di go- verni che non vedono l’ora di scoprire complotti inesistenti o di strumentalizzare notizie per tramutare i cittadini in avversari da combattere. E che sfugge completamente al controllo sia di Sarah, sia di Saleem. A dimostrazione di come, in questa terra martoriata, nulla sia veramente possibile.
Muayad Alayan racconta…
“La storia nasce da due episodi di vita vera. Il primo quando ero un adolescente a Gerusalemme est, mentre cercavo un lavoro a Gerusalemme ovest, dove ci sono più possibilità, lavorando come barista o in hotel, e ho visto molti rapporti tra persone dell’est e ovest, spesso nascosti e celati. Persone che giocavano col fuoco perché potevano nascere problemi da un momento all’altro, anche molto gravi. Il secondo episodio è quando l’esercito israeliano invase la Cisgiordania e acquisì moltissimi dati e documenti che riguardavano tutte le persone. Rapporti di polizia, di intelligence ma anche i semplici voti scolastici delle persone. E così molti vennero arrestati, anche solo per aver lavorato per il governo palestinese. Ci fu un proliferare di fake news, anche solo per potersi vendicare. È da lì che sono partito, pensando a cosa sarebbe potuto succedere a una di quelle coppie che avevo conosciuto”.
“Ho deciso di realizzare il film perché questa storia di infedeltà esprime bene quella che è la vita a Gerusalemme, anche se potrebbe verificarsi ovunque. Lì ha delle conseguenze tremende, impatta la vita, la sicurezza della gente, come in nessun altra parte del mondo. Il sistema così rigido a Gerusalemme, le barriere fisiche e anche quelle invisibili, condiziona la vita di tutti”.
“La storia tra i due ci riporta alla realtà della vita a Gerusalemme. Chi conosce la vita lì sa che queste storie non hanno futuro. Nella loro testa, i due protagonisti sanno che può essere solo qualcosa di fisico. Sanno che avendo una storia con qualcuno dell’altra parte, quelli della loro comunità non lo verranno mai a sapere. C’è una sorta di tacita tranquillità. E poi il film si sviluppa sui quattro personaggi, senza concentrarsi su di uno in particolare. Sarah e Saleem danno il via al tutto. C è il viaggio dei quattro. Le donne subiscono il cambiamento più profondo, entrambe reagiscono in un modo in cui la società non si aspetta. Sarah va contro le aspettative di un personaggio come lei: decide di rinunciare ai suoi privilegi. Bisan parte come personaggio innocente, poi diventa una madre e tutto cambia. Da ciò nasce la speranza: quella che le persone non pensano solo ai loro privilegi ma fanno ciò che ritengono moralmente e socialmente più accettabile”.
“Penso che Gerusalemme sia il quinto personaggio del film, sotto diversi aspetti. Una parte della città è molto povera, ci sono campi per rifugiati, ha molti problemi economici e sociali. Nella parte ovest vive la borghesia, i ricchi. Anche la luce cambia tra est e ovest. I trasporti. Le aree verdi. Ho voluto mostrarlo attraverso le inquadrature, l’ho raccontato tramite la vita di questi personaggi. La città stessa mostra le differenze. E il razzismo spesso può prendere il sopravvento”.
“In Palestina non c’è la censura, fortunatamente. È già difficile girare un film ovunque, a prescindere, e in Palestina lo è cento volte di più. Avevamo un piano di produzione molto dettagliato ma non sapevamo mai cosa potesse succedere. Quando abbiamo girato a Gerusalemme ovest, essendo noi una troupe palestinese, non potevamo dare nell’occhio. Eravamo pochi, ci hanno anche insultato, maledetto, perché pensavano fossimo un gruppo di europei che giravano un documentario contro di loro. È arrivato anche l’esercito israeliano a chiederci cosa stessimo facendo e anche se avevamo tutti i permessi, stentavano a crederci. Non è stato facile! Secondo le leggi, se l’esercito israeliano vuole effettuare delle verifiche, l’esercito palestinese deve sottostare, sparire. Cosa che è successa a Betlemme. Ci hanno controllato tutto. Hanno sequestrato qualche attrezzo di scena. Ero preoccupato per i componenti europei della troupe. Se non ci avessero davvero creduto, sia la troupe che gli attori, niente sarebbe stato possibile”.