Ispirato ad una storia vera, giovedì 18 ottobre Movie Factory porta al cinema L’Abbandono, il film scritto e diretto da Ugo Frosi con protagonisti Giulia Galiani e Alberto Baraghini.
Il film
Seconda metà del XVIII secolo. Il vicario (Alberto Baraghini) di un vescovo viene inviato presso un monastero per indagare sui fatti relativi ad una suora accusata di scandalo ed eresia. Nel silenzio del chiostro, l’incontro con la misteriosa Suor Irene (Giulia Galiani) e gli estenuanti interrogatori dei testimoni, condurranno il giovane ecclesiastico ad una profonda crisi spirituale e alla scoperta di una realtà inaspettata.
Personaggio di grande carisma e seduzione, suor Irene, in un cosmo tutto maschile come quello della Chiesa, conduce una battaglia solitaria e coraggiosa nel sostenere le proprie convinzioni dottrinali e nel fermo rifiuto ad essere ricondotta ad un ordine e ad una disciplina che ormai avverte solo come una violenza nei confronti della propria natura. La stessa, peraltro, può ben rappresentare la voce di molte di quelle religiose e mistiche, che lungo diversi secoli, sono state fatte tacere nel chiuso dei chiostri, accusate di follia o stregoneria, ed espunte infine da ogni storia ufficiale.
Da una storia vera
Il 25 giugno 1781 il Vescovo di Pistoia e Prato, Scipione De Ricci, scrive al Pontefice Pio VI una lettera dai toni preoccupati circa alcuni eventi occorsi nel monastero di Santa Caterina di Prato, dove “due religiose, oltre a professare sfacciatamente il quietismo, trattano d’invenzione di uomini, e Trinità, e incarnazione, e sacramenti ed eternità…”. Il Vescovo, in seguito, invierà al monastero l’abate Lorenzo Palli, suo vicario, per approfondire la natura e la verità dei fatti e condurre un interrogatorio ufficiale delle monache e dei testimoni.
Partendo da questo remoto e sconosciuto evento storico, una storia di scandalo e sospetta eresia avvenuto diversi secoli fa nel chiuso delle mura di un convento, il film vuole indagare il conflitto esistente tra la natura del potere e dell’autorità e il desiderio di libertà, ineliminabile e irriducibile nel fondo dell’essere umano. La sceneggiatura, basata sulle memorie del Vescovo e sulla preziosa trascrizione integrale dell’interrogatorio, nella finzione prende le mosse dall’avventura umana del giovane vicario e del suo incontro, nel silenzio del convento, con la misteriosa Suor Irene.
Parola al regista
Vi presentiamo di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Ugo Frosi.
Perché questo titolo, L’Abbandono?
Ha un molteplice significato. Può essere inteso come abbandono dell’anima a Dio, alla provvidenza divina, ma anche come abbandono dell’ego, abbandono di sé. Tuttavia con un significato apparentemente contraddittorio, l’abbandono, nel film, è anche abbandono ai sensi, alla Natura.
È una vicenda realmente accaduta?
Sì. Ho scoperto questa storia quasi per caso, consultando le memorie, pubblicate a stampa nei primi anni dell’800, del vescovo Scipione De Ricci. Pur drammatizzando gli eventi, spostandoli nell’ordine, creando personaggi di fantasia, mi sono sempre attenuto a rimandi e indicazioni del testo. Ad esempio, Suor Irene fu davvero “crudelmente nerbata”…
Cosa l’ha colpita in questa storia così lontana da noi?
Al contrario, suor Irene mi ha subito colpito per la sua attualità! È una donna che è “soggetto” e non “oggetto” della storia. Una donna che reclama l’emancipazione da un ordine “maschile” della realtà, in cui è letteralmente imprigionata. Attraverso di lei, attraverso le sue parole, viene scosso profondamente tutto il nostro sistema di pensiero occidentale, fondato ancora essenzialmente sulla Ragione e su una concezione “cartesiana” della realtà. Irene riassume, a mio avviso, una corrente sotterranea e parallela della nostra cultura, che nei primi secoli cristiani poteva ancora trapelare in alcune forme di eresia. Non è solo una donna coraggiosa e indomita, che si ribella ad un sistema dogmatico inteso unicamente alla preservazione del potere, o almeno non è solo questo l’aspetto più interessante del personaggio…Suor Irene “è” la Natura. E la Natura non può essere imbrigliata. Non a caso le faccio recitare l’incipit dell’inno a Iside, scoperto a Nag Hammadi “io sono colei che dà scandalo, ma anche colei che santifica”.