Davide Alfonsi e Denis Malagnino, colonne storiche del collettivo Amanda Flor, hanno scritto e diretto Il Codice del Babbuino, una storia di intolleranza, rabbia e vendetta che sarà al cinema dal 17 maggio. Nel cast ci sono: Denis Malagnino, Tiberio Suma, Stefano Miconi Proietti, Marco Pocetta, Fabio Sperandio, Alessandra Ronzoni, Cristina Morar, Lionello Pocetta, Daniele Guerrini.
Nelle vicinanze di un campo rom viene rinvenuto il corpo di una donna, vittima di uno stupro. Il compagno della ragazza, Tiberio (Tiberio Suma), si mette subito alla ricerca dei responsabili, convinto a vendicare personalmente la sua donna. Accanto a lui l’amico Denis (Denis Malagnino), padre di famiglia senza lavoro che, per la disperazione, ha deciso quella notte stessa di iniziare a spacciare droga. Denis tenta in tutti i modi di far desistere dai progetti di vendetta il giovane e impulsivo Tiberio, ma la situazione si complica terribilmente quando entra in scena il Tibetano, sornione e beffardo boss del quartiere con il quale Denis è pesantemente indebitato.
Lasciamo ora spazio alle note rilasciate dai due registi Davide Alfonsi e Denis Malagnino:
“Il Codice del Babbuino è una variazione su un tema classico della cinematografia, quello dei film “stupro e vendetta”. Una sorta di western ambientato nell’hinterland romano, con i campi rom al posto degli accampamenti indiani, le sale slot in luogo dei saloon, i tetri casermoni della Via Tiburtina che si stagliano nel buio a ridefinire uno spazio più soffocante e angusto rispetto alle guglie della Monument Valley. Proprio come nei film western lo sceriffo non c’è – o se c’è, è stravaccato nel suo ufficio, ubriaco – e dunque l’esercizio della giustizia diventa un atto pericolosamente privato, irrazionale e impulsivo, lasciato nelle mani dei nostri protagonisti: cowboy scheggiati, sopraffatti dalla durezza del vivere, che non montano cavalli ma percorrono pericolosi sentieri indiani a bordo di una vecchia utilitaria Citroen, con la spia sempre in rosso”.
“L’idea nasce da un fatto di cronaca nera accaduto a Guidonia una decina di anni fa. Alla base del film vi è un crimine – lo stupro di una giovane donna –, e se è vero che a ogni azione corrisponde una reazione, quella del nostro protagonista sarà impulsiva e pericolosa. La vendetta non porta mai a nulla di buono, è del tutto inutile e controproducente. Pensiamo sia assolutamente pericoloso oggi parlare di “giustizia privata” e il nostro film, nel suo piccolo, vuole appunto rimarcare l’imprudenza di certi messaggi politici. Del resto in un Paese come il nostro, dove si è privatizzato tutto, è quasi comprensibile che la gente ricerchi giustizia privata, ma ci teniamo a sottolineare che questo comportamento è quanto di più deleterio possa accadere, la fine di ogni comunità civile. Sin dal titolo del film abbiamo voluto rimandare ai tipici comportamenti di gruppo del babbuino: questi animali sono soliti coalizzarsi per isolare e cacciare dal gruppo gli esemplari più deboli, che non sono in grado di difendersi”.
“Il nostro è un cinema “grezzo”, che ogni spettatore plasma a sua immagine e somiglianza, a seconda della realtà in cui vive e della dimensione in cui si muove. O ci entri, o ti lascia fuori. Quando fai cinema nella più totale indipendenza e libertà devi necessariamente fare di necessità virtù, il che da un lato è una grandissima frustrazione ma dall’altro è un raro e prezioso stimolo, grazie al quale si riesce a superare i propri limiti. Nei nostri film, anche per mere e banali esigenze di produzione, non vi è nulla di patinato o costruito a tavolino, è tutto autentico e istantaneo, per noi contano le storie, i personaggi borderline che raccontiamo e il contesto sociale in cui li facciamo muovere, nient’altro. Non siamo dei puristi del cinema e non ci siamo imposti delle regole. Quel che possiamo affermare oggi, con certezza, è che mai e poi mai faremo film in cui, de jure, donne, stranieri, gay e poliziotti sono aprioristicamente i buoni del film. Il buonismo è la metastasi della creatività e purtroppo, oggi, pochi registi scelgono di girare storie realmente cattive, ma questa è un’altra storia”.
“Negli anni ci siamo messi in gioco attraverso forme e stili diversi, utilizzando gli elementi del linguaggio cinematografico per affrontare e mostrare le tematiche sociali attuali. Se avessimo un budget adeguato, non avremmo problemi a realizzare un film di cappa e spada o un fantasy, l’importante è catturare l’attenzione dello spettatore, giocare con i suoi giudizi e pregiudizi, le sue aspettative e le sue convinzioni. A nostro avviso il cinema deve essere uno shock visivo, estetico e morale. Sarebbe auspicabile che questa “apertura” venisse sostenuta, con maggiore forza e convinzione, anche e soprattutto dai “piani alti”, da quel sistema che, in termini produttivi e creativi, decide le sorti del cinema italiano”.