Il 6 febbraio 1945, esattamente settant’anni fa, nasceva una delle icone del XX° secolo più importanti e più amate: Bob Marley. La sua musica e il suo messaggio di amore e redenzione sono conosciuti in tutto il mondo. Un fascino universale ed un impatto sulla storia della musica che gli hanno conferito il ruolo di profeta politico e sociale. Il suo messaggio, attraverso la musica, trascende le barriere culturali, linguistiche e religiose, echeggiando ancora oggi in tutto il mondo, con la stessa forza di quando lui era ancora in vita.
Per ricordarlo, vogliamo parlare di Marley, il documentario del 2012 realizzato da Kevin Macdonald. Un film che può essere considerato il documento filmato ufficiale su Bob Marley, sulla sua vita e sulla sua rilevanza internazionale. Le riprese hanno avuto luogo in posti lontani tra loro come il Ghana, il Giappone e la Gran Bretagna, oltre che nell’amata Giamaica di Bob e negli Stati Uniti, e rappresenta un vero evento perché per la prima volta la famiglia di Bob ha autorizzato l’utilizzo dei propri archivi privati.
Per quasi mezzo secolo Bob Marley – il musicista, il rivoluzionario, la leggenda – ha influenzato popolazioni diverse in tutto il mondo con una forza che resta ineguagliata. La morte di Bob Marley nel maggio del 1981 non solo ha lasciato un vuoto immenso in quello che forse è il genere di musica moderna più spirituale e allo stesso tempo più accessibile – il reggae – ma, a testimonianza del grande carisma esercitato da questa star, ha anche dato inizio ad un aumento postumo senza precedenti del numero dei suoi fan.
La persistenza della notorietà di Bob Marley non è paragonabile a quella di un semplice fenomeno di musica pop. Per capirlo basta considerare il successo della compilation Legend, uno dei 17 album nella storia della musica ad aver superato la soglia dei 10 milioni di copie vendute (nel 2009), continuando a vendere circa 250.000 copie l’anno, oltre ad essere, secondo le stime della rivista Billboard, al secondo posto nella storia degli album rimasti più a lungo nelle classifiche. Con un numero di fan che continua a crescere (come dimostrano le decine di milioni di suoi appassionati registrati su Facebook e Twitter), la notorietà di Marley ha fatto di lui un vero e proprio punto di riferimento spirituale.
A più di 30 anni dalla sua morte, gli intramontabili messaggi contenuti nella sua musica fanno di Marley una potenza culturale con la quale confrontarsi. Il suo modo di vivere ha rappresentato per molti versi un atto politico sulla scena mondiale. Oggi, in qualunque parte del mondo, quando giovani politicamente impegnati fanno riferimento alla solidarietà come valore, trovano in lui un modello culturale imprescindibile (come dimostrato negli ultimi mesi dalla popolarità della musica e delle immagini di Bob Marley durante le proteste in Medio Oriente e in Africa e nelle manifestazioni di Occupy Wall Street e in quelle analoghe). Ma nonostante l’attaccamento dimostrato nei confronti di questa icona, e l’entusiasmo di quanti scoprono Marley solo oggi, intorno a lui permangono molti misteri e interrogativi. A partire dalla sua morte sono realizzati moltissimi film-concerto, biografie, Dvd e video non autorizzati che hanno cercato di far luce sulla sua storia, ma Marley resta un uomo tanto amato quanto avvolto nel mistero.
Nel suo docufilm Macdonald ha cercato di dare risposta a molti di questi interrogativi, descrivendo Bob Marley come Uomo prima ancora che come artista. Oltre al tono gioioso e vivace delle bellissime sequenze di repertorio (la musica di Bob riusciva ad essere consolatoria anche nei suoi moment più bui), il film contiene approfondimenti e informazioni inedite ottenute solo grazie all’aiuto offerto dalla famiglia Marley. La moglie di Bob, Rita, i suoi figli, gli amici e i colleghi, hanno rivelato i loro sentimenti, i loro pensieri e ricordi a Macdonald.
Il regista ha lavorato con la famiglia Marley, in particolare con Ziggy, sua sorella Cedella (chiamata così in onore della madre di Bob) e la madre, la moglie di Bob, Rita Marley. Macdonald ha utilizzato una parte dello straordinario materiale di Bob Marley – compresi Exodus e No Woman, No Cry – oltre ad alcune scoperte illuminanti. Soprattutto sui suoi primi materiali, sulla sua giovinezza: “una delle sfide che riguarda Bob è che c’è pochissimo materiale filmato” dice Macdonald. “Non c’è assolutamente niente per i primi 11 anni della sua carriera. Dal 1962 al 1973 non c’è neanche un minuscolo spezzone filmato, e solo una manciata di fotografie”.
Il problema è che, nonostante The Wailers, il gruppo formato da Bob con Peter Tosh e Neville “Bunny” Livingston, all’inizio della loro carriera avessero già contemporaneamente 5 singoli in cima alle classifiche top 10 della Giamaica e fossero abbastanza famosi, a quell’epoca l’interesse e gli strumenti tecnici necessari per documentare le loro performances semplicemente non c’erano. “Questo dimostra cosa fosse la Giamaica di allora”, racconta Macdonald, “ma anche quale fosse l’importanza della musica giamaicana a quei tempi: nessuno ha filmato i The Wailers, e nessuno, per molti anni, li ha presi sul serio”.
Così, intervistando una sessantina di persone, una metà delle quali sono poi finite nel film, il regista aveva in mente di ricostruire il percorso di Marley verso la notorietà. Macdonald ritiene che quella rilasciata da Bunny sia una delle due interviste chiave del film, in grado di accompagnare il pubblico dall’inizio alla fine del documentario; Bunny, che conosceva Bob da quando erano bambini, attraverso i suoi ricordi racconta un periodo che copre diversi anni e arriva fino al 1973 e allo scioglimento della band. Da quel momento, il filo conduttore della narrazione è affidato a Neville Garrick, il direttore artistico dei The Wailers, che è stato accanto a Bob fino alla sua morte.
Il lavoro certosino sulle interviste condotto dal regista ha avuto come risultato diverse altre rivelazioni inattese, comprese quelle ottenute da Peter, un cugino bianco di Bob a lui molto vicino, del quale Macdonald dice “nessuno prima aveva mai pensato di parlare con lui. Un punto fondamentale per me era capire quanto abbia influito sulla vita di Bob il fatto di essere di razza mista. E’ difficile per alcuni di noi, sia in Europa che in America, capire quanto questa cosa significasse sentirsi emarginati. E Bob, nato nelle campagne dell’epoca, in una parte profondamente nera della Giamaica, sentiva di essere emarginato proprio perché di razza mista, e non solo dalla parte bianca dell’isola, ma anche da quella nera”.
Per il figlio di Marley Ziggy, il momento più rivelatore del film è la testimonianza dell’infermiera che è stata accanto a suo padre in una clinica europea durante l’agonia dei suoi ultimi giorni prima della sua morte per cancro. “Alcune cose non le avevo mai viste né sentite prima, ed è stato molto emozionante” confessa. “Credo che la cosa bella del film” continua Ziggy, “è che nonostante siano state fatte molte cose su Bob, solo questo offre alla gente la possibilità di sentirsi emotivamente vicina a Bob come uomo e non solo come leggenda del reggae o come figura mitica”.
Macdonald giunge ad una conclusione che deriva da tutte le ricerche fatte per realizzare Marley: “Credo che la ragione per cui Bob sia sopravvissuto alla sua morte è perché ha parlato alla gente oppressa del pianeta, che fosse americana, inglese o tedesca, ma soprattutto, perché ha parlato alle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, che sentono di essere sempre stati trattati come reietti, di essere stati scavalcati dall’occidente o cose simili. E la sua è stata la voce che diceva ‘Arriverà il vostro turno. Ora siete a terra ma un giorno sarete lassù’”.
“Chi ha paura di sognare è destinato a morire”
Bob Marley