Prodotto da Martin Scorsese, è da oggi al cinema Free Fire, l’action movie diretto da Ben Wheatley che vede all’opera un vasto gruppo di attori guidato da Brie Larson, Cillian Murphy e Jack Reynor.
Massachusetts, tardi anni ‘70. Un camper sfreccia nella notte verso l’area portuale. Bernie (Enzo Cilenti), al posto di guida, insulta gli altri automobilisti mentre, sul sedile passeggeri, Stevo (Sam Riley) fatica a stare dritto, il volto tumefatto e l’aria sconvolta di chi, la notte prima, ha combinato qualche casino di cui non ha molta voglia di parlare. Fuma uno spinello per restare concentrato. Frank (Michael Smiley), cognato di Stevo, visibilmente agitato, aspetta sul molo accanto a un’automobile. Dentro si trovano Chris (Cillian Murphy), decisamente più calmo, compatriota irlandese e socio in affari di Frank, e Justine (Brie Larson), americana, intermediaria nell’affare.
Arrivati al molo, i due stralunati passeggeri cascano letteralmente fuori dal camper. Frank rimette bruscamente in piedi Stevo, irritato dal suo comportamento poco professionale. Un uomo si avvicina alla strana banda. Ben curato, polo e giacca sportiva, ogni passo ostenta sicurezza. Si chiama Ord (Armie Hammer) e, terminate le introduzioni, perquisisce tutti, senza badare al fatto che quasi ognuno di loro porti un’arma: a lui interessano solo eventuali microfoni. Controllato che siano tutti puliti, la festa si sposta in una fabbrica abbandonata poco lontano.
Entrano nel magazzino principale: enorme, mezzo in rovina, il paesaggio scandito da qualche pilastro, mucchi di macerie e fatiscenti prefabbricati da ufficio. Ovunque immondizia, detriti, pezzi di macchinari e vetri rotti. Al richiamo di Ord, fanno il loro ingresso due uomini: “Gran Bastardo” Vernon (Sharlto Copley), vestito costoso ma senza gusto, e il suo socio Martin, i trafficanti d’armi. Nonostante la differenza tra il materiale ordinato e quanto è stato consegnato, l’affare è fatto e i soldi passano di mano. In un’altra area della fabbrica, Gordon (Noah Taylor) e Harry (Jack Reynor) attendono in un furgone rosso. Le nocche di Harry sono seriamente tumefatte, risultato di qualche misteriosa zuffa la notte precedente…
Contati i quattrini, Vernon e Martin chiamano via radio i loro tirapiedi per portare dentro il resto del carico. Dall’altra parte del magazzino, Stevo va in agitazione appena scorge Harry alla guida del furgone e cerca di nascondersi il volto imprecando. Gordon e Harry scendono dal furgone per scaricare le casse di armi. Frank, irritato perché convinto che Stevo stia cercando di sottrarsi ai propri doveri, lo spedisce a prendere le casse. Harry lo vede, rimane di sasso per un istante e poi si scaglia contro di lui con una spranga. Le ferite simili di Harry e Stevo non sono una coincidenza. Mentre le rispettive bande cercano di tenere separati i due uomini, Vernon, Martin, Ord e Justine provano a capire cosa sta succedendo e come fermare questa esplosione di violenza terribilmente inopportuna.
Harry si dirige tranquillamente verso il furgone, tira fuori un revolver e spara a Stevo, il quale, colpito alla spalla, crolla a terra. Harry viene trascinato via, ma nella mischia che segue, Stevo estrae la sua pistola e inizia a sparare all’impazzata. Ora la situazione è fuori controllo. Spuntano altre pistole e tutti si gettano verso il riparo più vicino. Il magazzino è diventato un poligono di tiro.
Le bande si scambiano pallottole e insulti, non si torna più indietro. Quasi tutti si beccano una pallottola e la rabbia continua a salire. Quando sembra che le cose non possano andare peggio, da una balconata in alto spuntano due cecchini, Howard (Patrick Bergin) e Jimmy (Mark Monero), che aprono il fuoco. Nessuno sa chi li abbia chiamati. Per tentare di calmare la situazione, Chris propone di far uscire Justine per andare a chiamare gli altri uomini di entrambe le bande, affinché fermino l’escalation, prima di finire tutti ammazzati. Ma mentre cerca di andarsene, si sente squillare un telefono in uno degli uffici che si affacciano sul magazzino. La difficile tregua è rotta, la posta in gioco è alta, i due schieramenti ricominciano a sparare appena si rendono conto che chiunque raggiunga per primo il telefono per chiamare rinforzi avrà la vittoria. Per questo l’avversario va fermato, ad ogni costo.
Free Fire vede sbocciare definitivamente l’antica passione di Wheatley per il cinema d’azione. Lo scarto tra le sparatorie reali e la loro rappresentazione sul grande schermo è uno degli elementi in gioco: “ho letto molti verbali di sparatorie. Ce n’è stata una grande a Miami con l’FBI, in rete si trova un racconto dettagliato, colpo su colpo, di quanto è accaduto. È pazzesco, il desiderio di metterlo in un film è sempre rimasto in un angolo del mio cervello”, spiega Wheatley. “Dai verbali e i rapporti balistici si capisce che non si muore immediatamente se non si viene feriti ad organi vitali. E che la maggior parte delle persone coinvolte nelle sparatorie non è ben addestrata. Cercavo di immaginare come doveva svolgersi la scena, ovviamente all’interno delle regole dell’intrattenimento, e non mi sembrava di aver visto nulla di simile in altri film”.
Free Fire è in grado di esplorare alcuni temi intriganti dentro la cornice dello “spara tutto”: “ognuno di noi ha il suo ingombrante bagaglio di idee su se stesso e molto raramente veniamo messi alla prova. Potresti pensare di essere un grande eroe e scoprire che non sei altro che un miserabile codardo. O pensare di essere simpatico e scoprire di essere cattivo e antipatico. È interessante vedere quei personaggi, le loro intere vite ridotte a piccole azioni, mentre si chiedono se strisciare da una parte o salire le scale, o cosa fare una volta raggiunto il telefono. A questo pensavo: micro-decisioni che portano a terribili conseguenze”. Era importante che tutti quanti ricevessero la propria dose di sofferenza e pena: “devi portare tutti sullo stesso piano – spiega Wheatley – e impedire loro di cavarsela, di scappare. È possibile colpire qualcuno in una sparatoria, come ci insegna la storia, ma spazzare completamente via l’avversario è un po’ più difficile”.
L’ambientazione anni ‘70 non è solamente una scelta stilistica che ammicca ai grandi film d’azione dell’epoca, serve anche a privare i personaggi di alcune tecnologie moderne che ridurrebbero la tensione. Come spiega Wheatley: “è l’epoca antecedente ai cellulari, l’intera faccenda si basa su questo: non possono chiedere aiuto. Questo avrebbe funzionato solo prima del 1990. C’è di mezzo anche un po’ di storia del cinema e l’aspetto socio-politico è abbastanza interessante. Non è al centro del film, ma rimane lì sullo sfondo. Volevo anche allontanarmi dai soliti criminali e dai soliti mafiosi: è roba talmente manipolata dal cinema, che oggi ha perso di senso. Nessuno di quegli uomini è un personaggio standard, sono uomini d’affari o trafficanti internazionali. Non volevo fare un film di genere che si reggesse sul genere, ma che fosse una cosa a sé”.