Il 22 maggio è arrivato nelle sale cinematografiche italiane Cam Girl (per la Angelika Film Production). Il film, dal sapore drammatico, porta sul grande schermo uno spaccato della società attuale rappresentato da quattro ragazze che, in tempi di crisi economica e di mancanza di prospettive, si spogliano in cambio di soldi. Armate di web cam e coperte dall’anonimato della rete, mettono in piedi (in modo rapido e agevole) un’agenzia di CamGirl. Protagoniste sono Antonia Liskova, Alessia Piovan, Sveva Alviti, Ilaria Capponi con la partecipazione straordinaria di Marco Cocci, Enrico Silvestrin e Maria Grazia Cucinotta.
Il fenomeno delle cam girl è in forte crescita: si stimano circa 140 mila clienti al mese per un giro d’affari che va da 1 a 2 miliardi di euro annui. Numeri che fanno di questo mercato un vero e proprio business che in Italia è tutt’oggi illegale: “Quello che mi ha colpito è stato il numero sempre più consistente di donne che finiscono dentro questa rete per aiutare le famiglie in difficoltà – racconta la regista Mirca Viola – mentre fino a qualche anno fa eravamo pronti a condannare chi esercitava questa attività per rincorrere un guadagno facile, oggi viene normale comprenderli, visti i dati allarmanti della disoccupazione, soprattutto quella giovanile”.
Per approfondire il tema abbiamo intervistato la regista del film, Mirca Viola, che abbiamo raggiunto al telefono.
Cam Girl: che esperienza è stata?
È stata un’esperienza molto positiva perché sono riuscita a realizzare esattamente quello che avevo pensato. Solo quando il film è montato si capisce se hai ottenuto quello che desideravi e io ci sono riuscita.
Un bel cast che vedeva insieme veterani e nuovi volti, con le partecipazioni della Cuccinotta, di Silvestrin e di Marco Cocci.
Sì, li ringrazio tutti, da Antonia Liskova, che è stata straordinaria, alle ragazze protagoniste della storia. Sono attrici emergenti che sul set hanno dimostrato di credere fino in fondo in questo progetto e il loro lavoro è stato particolarmente apprezzato.
Qual è il messaggio del film?
Il messaggio principale è rivolto alle istituzioni: serve più attenzione verso questo fenomeno e la figura della donna sul lavoro deve essere sicuramente più tutelata. Anche se questi sono tempi di crisi e di disoccupazione dilagante, servono sicuramente altre risorse rispetto alla mercificazione del proprio corpo.
In L’Amore fa Male ha diretto Stefania Rocca che una quindicina di anni fa recitò nel film cult Viol@ di Donatella Maiorca, agli albori di Internet e delle prime chat line. Quanto e cambiato il web da allora?
Il web ha giocato e sta giocando un ruolo sempre più importante nella nostra vita. Sicuramente ha semplificato l’esistenza, anche attraverso quella che deve essere la sua funzione principale, ovvero quella di tenerci informati. Poi però ha creato un contatto più ampio, quasi universale, attraverso i social. Siamo tutti connessi nella rete e, rispetto al film Viol@, ora ci sono i nostri nomi e cognomi con tutte le foto. Sicuramente la cosa comune tra ieri e oggi è la necessità di proteggersi dietro ad uno schermo per comunicare.
Esistono quindi due facce del web…
Assolutamente: da un lato ci avvicina, ma dall’altro ci allontana. È diventato un filtro ‘strano’ ci stiamo nascondendo dietro ad una maschera con cui ci sentiamo protetti ma che ci sta facendo perdere il contatto diretto.
Cosa ne pensa delle relazioni sentimentali che nascono sui social e che vedono protagonista la comunicazione virtuale?
Sicuramente internet è diventato utile anche in questo, perché con i social network si creano sempre più contatti tra persone. Ma anche qui trovo che ci sia un aspetto negativo perché manca la sensazione che si prova solo di persona. Le foto inoltre non possono sostituire gli sguardi e il potersi guardare negli occhi. Quindi si tratta di relazioni un po’ alterate…
Forse c’è anche più rischio?
Il popolo sul web è vastissimo, per cui va fatta indubbiamente una ‘selezione’. Direi che sotto questo aspetto serve la massima attenzione. Però certi amori possono nascere anche su Facebook e alcuni li conosco (ride ndr.)! Di sicuro serve anche molta fortuna…
Sulle giovani donne oggi cosa pensa? C’è troppo esibizionismo? Ci si basa troppo sull’apparenza?
Sì, non si può negare, sarebbe da ipocriti. La cosa che mi spaventa di più è il non sapere se le ragazze siano consapevoli del fatto che si stiano instradando verso quella direzione. La più semplice e veloce per attirare attenzioni e apprezzamenti su se stesse. Ma non penso che quello sia il modo giusto. Di sicuro trovo che siano fragili: il non saper affrontare la vita reale le porta a rifugiarsi sul web, sui social. Trovo però che siano sperdute anche perché in questo momento manca un modello culturale di riferimento.
Per chiudere, che consigli si sente di dare alle ragazze e future donne del domani?
Bisogna prendere tutto quello che di buono c’è nella società e il web può essere una grande opportunità in questo. Specialmente quando si riescono a formare dei gruppi e non si resta dispersi: solo stando uniti la voce può farsi più forte. In questi tempi trovo che sia il modo migliore per reagire e combattere, per farsi sentire dalle istituzioni per avere nuove risorse e prospettive per il domani.
Intervista di Giacomo Aricò