Gabriel García Márquez se n’è andato da poche ore. Lo scrittore e giornalista colombiano, premio Nobel per la Letteratura nel 1982, si è spento ieri a Città del Messico a 87 anni. Autore di romanzi immortali come Cent’anni di Solitudine, esponente del realismo magico in narrativa, simbolo della letteratura sudamericana e appassionato di cinema. Così tanto che alcuni suoi romanzi e racconti sono stati adattati al grande schermo.
Per ricordarlo e per parlare del suo legame con la settima arte, abbiamo contattato Alessandro Rocco, autore del libro Il Cinema di Gabriel García Márquez, edito nel 2009 da Le Lettere.
Se n’è andato ieri Gabriel García Márquez: quanto ha influito questo scrittore sulla società moderna?
Ha influito in modo straordinario! È, come si suol dire, un classico contemporaneo, capace di accontentare sia il pubblico, un amplissimo pubblico in tutto il mondo, sia la critica, anche quella più esigente. La sua scrittura è stata in grado di ampliare gli orizzonti dell’immaginario dei suoi lettori, offrendo delle chiavi di lettura sulla realtà globale del ‘900 davvero nuove e liberatorie.
Uno scrittore “cinematografico”: Cronaca di una Morte Annunciata, Nessuno Scrive al Colonnello, L’Amore ai Tempi del Colera, questi i principali film tratti dai suoi romanzi. Com’era il Cinema di Márquez?
Quando si parla di Gabo e il cinema, si pensa sempre agli adattamenti dei suoi romanzi più noti, come L’Amore ai Tempi del Colera, o in Italia, poiché è italiano il regista, Francesco Rosi, Cronaca di una morte annunciata. Ma pochi sanno che fu anche un prolifico soggettista e sceneggiatore. Anzi, nei primi anni ’60 sognava di diventare uno sceneggiatore famoso. Bisogna ricordare la grande importanza che hanno avuto per lui i film neorealisti italiani, in particolare quelli di De Sica e Zavattini. Certo, i film tratti da sue sceneggiature non hanno mai raggiunto successi paragonabili ai suoi romanzi e racconti. Eppure trovo che le sue sceneggiature erano di ottimo livello.
Secondo lei anche altri suoi scritti meritano il grande schermo?
Sicuramente L’Incredibile e Triste Storia della Candida Eréndira e della Nonna Snaturata, uno dei suoi racconti più noti, è stata prima scritta come sceneggiatura, poi come novella, e finalmente ne è stato girato il film.
Tra i film usciti invece quale ricorda in particolare?
Uno dei lavori secondo me più rappresentativi è stato il film di Fernando Birri, regista argentino trapiantato a Roma, che nel 1988 riuscì a completare l’adattamento di Un signore molto vecchio con delle ali enormi, che oggi, nonostante le critiche non entusiaste di allora, andrebbe rivisto e rivalutato, come tutta la filmografia dello scrittore, ovvero tutti i film da lui sceneggiati.
Qual è il più grande insegnamento che ci ha lasciato?
Personalmente, lo cercherei in quello straordinario romanzo che è L’autunno del patriarca, di non facilissima interpretazione, ma in cui l’autore aveva davvero messo molto, moltissimo impegno. Una riflessione lucida e profonda sull’essenza del potere, che si nutre e sussiste grazie alla capacità di incarnare il bisogno di miti e illusioni, ma che è, come tutte le cose, destinato a scontrarsi con i limiti del tempo e della morte, e a scoprire la propria solitudine.
Intervista di Giacomo Aricò