Da giovedì 4 agosto arriva al cinema Sposa In Rosso, la nuova commedia corale di Gianni Costantino. che vede come protagonisti l’attrice Sarah Felberbaum e l’attore spagnolo Eduardo Noriega, affiancati da Massimo Ghini, Anna Galiena, Cristina Donadio, Dino Abbrescia, Maurizio Marchetti e Roberta Giarrusso.
Il film
Roberta (Sarah Felberbaum) e Leòn (Eduardo Noriega), quarantenni precari in cerca di riscatto, inscenano un matrimonio finto in Puglia per intascare i soldi delle buste che gli invitati regalano agli sposi. I complici sono il trasformista Giorgio (Massimo Ghini), amico mentore di Leòn, e l’anticonformista Giada (Cristina Donadio), zia di Roberta. Gli ostacoli sono i familiari della sposa. La madre asfissiante Lucrezia (Anna Galiena), il fratello paranoico Sauro (Dino Abbrescia) e il padre fuori di testa Alberto (Maurizio Marchetti). In una girandola di imprevisti non sarà facile per i protagonisti prendersi la rivincita che meritano. E forse qualcosa di più. Un film avventuroso. Una commedia dei sentimenti. E tra realtà e finzione la promessa di una grande storia d’amore.
Gianni Costantino racconta…
“Questa è una “strana” storia d’amore, ma non solo. E’ anche una singolare truffa di una coppia di precari, e non solo. E’ anche la voglia di riscatto di una generazione, crearsi un’opportunità in una vita senza opportunità. E’ soprattutto una commedia romantica. Con una particolarità. La vera storia d’amore inizia quando il film finisce. Questa è una storia che avevo in testa da molto tempo anche perché tocca dei temi che mi sono cari. Ho cercato di raccontare una generazione, quella dei quarantenni, nei confronti dei quali spesso la vita si accanisce. Perché si tratta di una generazione che non ha tanti punti di riferimento, una generazione indefinita. Troppo vecchia per essere millennials, troppo giovane per essere x. Una generazione schiacciata da quella precedente, quella dei genitori, e divorata da quella successiva. Che ha faticato a trovare un posto nel mondo”.
“I due protagonisti, Roberta e Leòn, infatti si muovono in un’incertezza emotiva costante, annaspano in uno stato di precarietà non solo lavorativa ma esistenziale e non avendo ancora trovato una loro strada finiscono inevitabilmente per scontrarsi con la famiglia, con la tradizione, con le aspettative degli altri. Con un dover essere che non li rappresenta. Il fattore economico nel dipanarsi della storia è scatenante ma è quello identitario il più bruciante. Chi siamo. Chi avremmo voluto essere. Chi possiamo ancora diventare. Una frase portante del film e “Litigare è il nostro modo di volerci bene”. Questo concetto io lo trovo fondamentale: dove c’è rumore c’è vita mentre il silenzio è morte, è disinteresse, è indifferenza. In fondo in questo film non ci sono buoni o cattivi. Come diceva il maestro Monicelli: “Quando si racconta una storia i giudizi morali lasciateli al pubblico””.