Oggi esce nelle sale Stato di Ebbrezza, il film diretto da Luca Biglione con protagonista Francesca Inaudi che trae spunto dalla reale storia dell’artista comica Maria Rossi, la cui carriera artistica si interruppe in piena ascesa a causa dei suoi problemi di dipendenza da alcol. Oltre alla Inaudi, gli altri interpreti sono: Andrea Roncato, Melania Dalla Costa, Antonia Truppo, Marco Cocci, Fabio Troiano, Elisabetta Pellini, Rita Rusciano, Mietta e Nicola Nocella. Il film verrà presentato stasera al Cinema Adriano di Roma alla presenza del regista e di parte del cast.
Il film
Maria (Francesca Inaudi), una cabarettista emiliana, inizia ad avere successo a livello nazionale quando, all’improvviso, un dramma familiare stravolge la sua vita. La ritroviamo qualche anno dopo completamente dipendente dall’alcol, inaffidabile sul palcoscenico e senza più ingaggi televisivi. Dopo l’ennesimo incidente automobilistico causato dall’abuso di alcol, Maria viene obbligata ad un trattamento sanitario obbligatorio in una struttura pubblica specializzata in problemi di dipendenza. La cabarettista inizialmente rifiuta le cure e soprattutto rifiuta di paragonarsi agli altri ricoverati rispetto ai quali si sente “normale”. Nell’istituto, Maria è una comica smarrita che cerca di difendersi dal dramma in cui è caduta usando come arma le sue battute, utilizzando il sarcasmo per innalzare una barriera tra lei e gli altri ricoverati, non accettando di essere un’alcolista.
Qui si trova ad affrontare una realtà multicolore, dai risvolti tragicomici, a contatto con altri pazienti affetti dalle più svariate dipendenze e turbe psichiche. Ma proprio attraverso essi, ed in particolare Beatrice (Melania Dalla Costa), una ragazza psicologicamente fragile con la quale nascerà un’amicizia tanto tenera quanto surreale, che Maria si renderà conto di essere una di loro e altrettanto fragile. Solo allora, grazie anche ad una psichiatra illuminata e all’amore del padre Luigi (Andrea Roncato) e del fratello Renato (Fabio Troiano), troverà la volontà di guarire e di sottoporsi alle terapie del centro. Dopo essersi liberata dalle dipendenze e dai fantasmi che le hanno provocate, Maria dovrà affrontare l’ultima prova: riuscirà a rinascere tornando di nuovo sul palcoscenico? Riuscirà a far ridere di nuovo il suo pubblico?
Stato di Ebbrezza, anche se raccontato con i toni della commedia ed a tratti ironico, mostra l’esperienza drammatica vissuta in prima persona da Maria Rossi. La pellicola non nasce soltanto dalla sua storia, ma anche dalla sua vena artistica. La Rossi ha infatti realizzato il soggetto del film, tradotto poi in sceneggiatura da Maddalena De Panfilis e Luca Biglione. Ed è proprio quest’ultimo, il regista, che abbiamo deciso di intervistare.
Prima di tutto: come mai ha deciso di raccontare la storia di Maria Rossi?
Io avevo solo un vago ricordo di Maria Rossi come cabarettista e non conoscevo la sua storia. Dopo averla letta, il soggetto è suo, l’ho incontrata di persona. La sua è una storia che mi è sembrata subito molto interessante da raccontare al cinema, da una parte per l’argomento, la dipendenza di alcool, e dall’altra, per il personaggio di cabarettista. I comici, quelli veri, portano sul palco le proprie fragilità, le tragedie vissute vengono esorcizzate, trasformate in risate. Nel nostro caso accade il contrario: la cabarettista porta le proprie battute, la propria ironia, in una clinica pubblica per disintossicarsi dall’alcool. Lei, nonostante la sofferenza, continua a lottare con l’ironia, le battute diventano una difesa, una barriera per non voler accettare il proprio problema: essere diventata un’alcolista.
Cosa desiderava comunicare attraverso la sua esperienza?
Credo che questo contrasto sia stato il primo motivo che mi ha convinto a lavorare su questo film, poi entrandoci ho scoperto tutte le altre corde. Prima tra tutte quello che poteva diventare una storia universale: alcool o non alcool purtroppo capita a tutti in un certo periodo della propria vita di cadere “in una selva oscura” come succede alla protagonista e uscire a riveder le stelle non è facile.
Cos’è la “malattia della solitudine”? Cosa ha vissuto la donna/artista protagonista del suo film?
La protagonista del film ha vissuto – proprio come la Maria reale in un momento fortunato della propria carriera di comica (tra il successo a Zelig e inviti al Maurizio Costanzo Show) – dei drammi familiari, che nel film sono stati sintetizzati ma sono accaduti davvero e a questi non ha saputo reagire. La protagonista artista del film ha vissuto fondamentalmente un percorso che, come accennavo prima, l’ha portata dalla selva oscura a cercare di riveder le stelle, ma non è stato un percorso né facile né scontato, bensì un percorso di grande sofferenza.
Dal malessere più totale al TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), all’umanità e professionalità di chi lavora nelle strutture sanitarie. Quali sono le vie d’uscita?
Non sono uno psicologo e non ho ricette, da quello che questa storia mi ha insegnato, Maria è uscita dal suo problema soprattutto grazie a tre elementi: la famiglia che non l’ha mai abbandonata, la psichiatra che la seguiva al centro, quindi la struttura sanitaria, e poi lei stessa, la sua forza di volontà e la sua capacità di rapportarsi, dopo un iniziale rifiuto, agli altri degenti. Solo accettando di essere una di loro e attraverso il reciproco aiuto ha potuto iniziare il suo percorso di guarigione.
Il film spesso usa il linguaggio della commedia ma racconta una realtà drammatica, quella della dipendenza. Come ha scelto di raccontare questa storia?
A questa domanda ho risposto implicitamente prima: Maria non è solo una donna che diventa dipendente dall’alcool. Maria è una cabarettista che diventa dipendente dall’alcool, quindi l’elemento commedia è nel DNA della storia, ma è una commedia che in certe ironie ed in certi sarcasmi diventa assolutamente drammatica.
Come ha lavorato con Francesca Inaudi?
Prima di iniziare questo progetto non conoscevo personalmente Francesca, ma diciamo che ho insistito molto con Claudio Bucci, (il coraggioso produttore di questo film per la Stemo Production) perché fosse lei a vestire i panni della protagonista confidando nella bravura che ho sempre visto nelle sue interpretazioni, nella sua preparazione, nella sua serietà che conoscevo di fama. Per fortuna è stata una scelta davvero giusta. Francesca Inaudi si è davvero immedesimata nel film, in un personaggio che non è la vera Maria (nel senso che non c’è stato un vero e proprio tentativo di imitazione). Lei ha interpretato una donna che ha molto della Maria reale ma nella interpretazione è anche e soprattutto la “sua” Maria.
Qual è l’aspetto della sua interpretazione che hai apprezzato di più?
La sua interpretazione così realistica e nello stesso tempo particolare spesso ci ha davvero emozionati già sul set. Francesca ha fatto un lavoro di attrice che va oltre alla tecnica, diventa pura immedesimazione, nervi, lacrime, rabbia, risate. E va anche detto che tutti gli attori attorno hanno dato più di quello che mi aspettassi. Secondo me a prescindere da tutto vale la pena vedere questo film per rimanere incantati da questi attori. Se posso aggiungere, un altro motivo per vedere questo film è la fotografia di Blasco Giurato (indimenticabile direttore della fotografia tra i suoi mille film, di Nuovo Cinema Paradiso) che, pure se in un film indipendente, volutamente “sporco” e realistico, aiuta a rendere questo film vero Cinema.
Maria Rossi ha partecipato alla realizzazione del film. Cosa ha significato per te?
La presenza di Maria Rossi come autrice ha voluto dire poter trattare un argomento molto delicato con la consapevolezza di essere veri. Certo, poi Maria quando ha vissuto quei fatti era dentro la storia, quindi la sua visuale era in un certo senso limitata. Quindi abbiamo necessariamente lavorato anche di fantasia come inevitabile, ma sempre prendendo spunto e ispirazione dai personaggi reali. La presenza poi della vera Maria Rossi all’interno del film, come attrice, nel modo che non vi svelo ma spero riuscirete a vedere, ha poi dato ancora di più un senso di verità, di mescolarsi tra fiction e realtà.
Intervista di Giacomo Aricò