Allo straordinario ed inquieto talento artistico di Camille Claudel (1864-1943), scultrice geniale e donna appassionata, il cinema francese aveva dedicato due film: l’omonimo Camille Claudel del 1988 diretto da Bruno Nuytten, con Isabelle Adjani, ed il più recente Camille Claudel, 1915 (2013) di Bruno Dumont con una grande Juliette Binoche.
Domani sabato 29 novembre la vita della Claudel tornerà invece a rivivere al Teatro Palladium di Roma con lo spettacolo Io. Camille per la regia di Angelo Colombo e con protagonista l’attrice Silvia Lorenzo. Un’opera che racconta la vita di questa indimenticabile artista, una personalità inquieta, irriverente ed anche incline a violente passioni. Camille Claudel condusse un’esistenza interamente dedicata alla sua arte, svolgendo un mestiere da uomini e legandosi sia artisticamente sia sentimentalmente al maestro della scultura francese Auguste Rodin (voce fuori scena di Massimo Popolizio).
La fine della loro relazione segnerà un distacco definitivo, irreversibile, che si riverbera anche nelle opere di entrambi. Mentre il suo nome, finalmente, comincia a emergere, e il suo talento viene riconosciuto, Camille si chiude in un isolamento carico di manie di persecuzione, distruggendo molti suoi lavori. Abbandono, rabbia, amarezza, solitudine, frustrazione, delusione, amore ferito, odio, senso di «qualcosa di assente» che sempre l’aveva tormentata.
Tutto questo confluisce in una psicosi paranoica per la quale la madre e il fratello Paul ne chiedono l’internamento in un asilo per alienati mentali. Un ricovero che pare essere “temporaneo”, e che la vedrà trent’anni chiusa fra le mura del manicomio di Montdevergues, presso Avignone; non scolpirà più una sola opera dal momento del suo ingresso. Morirà in manicomio, nel 1943. Sola, abbandonata da tutti. Nemmeno il suo nome nella fossa comune, ma un numero di matricola: 1943-392. Impossibile capire di chi si trattasse.