Dopo la prima nazionale del 2019, dal 26 aprile al 1° maggio l’attore Gabrio Gentilini sarà in scena alla sala Umberto di Roma con The Boys In The Band, l’opera teatrale del commediografo americano Mart Crowley che è stata tradotta e adattata da Costantino Della Gherardesca e diretta da Giorgio Bozzo. Sul palco, Gentilini sarà affiancato da: Francesco Aricò, Ettore Nicoletti, Federico Antonello, Angelo di Figlia, Alberto Malanchino, Samuele Cavallo, Jacopo Adolini e Paolo Garghentino.
Gabrio Gentilini
Nello spettacolo Gabrio Gentilini ricopre il ruolo di Donald, un ragazzo di 28 anni, americano e gay, che con la sua presenza a una festa di compleanno tra amici omosessuali in un appartamento di New York a fine anni ’60, creerà varie dinamiche all’interno del gruppo, in un crescendo di colpi di scena, tensione, umorismo feroce e riflessioni profonde. Lo abbiamo raggiunto per avere un suo punto di vista su The Boys In The Band.
Gabrio, sono passati quasi tre anni dal debutto del 2019. Il mondo è completamente cambiato – con la Pandemia e, da quasi due mesi, la terribile e inaccetabile Guerra in Ucraina – e direi che è cambiato in peggio, con un sensibile aumento della rabbia sociale e delle discriminazioni. Cosa provi?
Negli ultimi anni sta succedendo di tutto. Il senso di impotenza di fronte a certi eventi diventa sempre più opprimente. Io credo che ci siano situazioni che possiamo solo accettare ed attraversare, sperando di uscirne il più possibile migliorati, almeno interiormente. E credo che per contrastare tutto il dolore del mondo, sia fondamentale porre piuttosto la nostra attenzione su ciò che ci rende migliori e migliora ciò che ci circonda. Dov’è che posso portare pace, quando attorno a me si genera conflitto? Dov’è il nemico? Fuori o dentro me? Accolgo o discrimino? Come posso portare bellezza quando c’è disarmonia? Credo davvero che ognuno partecipa con la propria realtà, alla creazione della realtà globale che viviamo. Insomma, ognuno è responsabile, almeno in parte, di quello che viviamo nel collettivo. Ed è con questo spirito che voglio tornare sul palcoscenico. Conscio del privilegio e della grande opportunità che mi viene data ancora oggi e carico di entusiasmo, amore e gratitudine per questo mio mestiere e per chi lo sostiene.
Cosa rappresenta per te questo testo?
È un testo fondamentale per ricordarci le difficoltà e le pressioni sociali fortissime che subivano gli omosessuali ancora solo 50 anni fa. Nel frattempo la situazione è sicuramente migliorata e tante battaglie sono state vinte e diritti acquisiti ma è importantissimo ricordare cosa si rischia nel mettere in dubbio queste conquiste e quanto poco basti per fare passi indietro molto pericolosi. Purtroppo assistiamo ancora troppo spesso ad episodi gravissimi di cronaca dove viene esercitata violenza su chi è considerato diverso; la società continua a cercare di opprimere l’unicità di ogni essere umano, a renderci tutti uguali e meglio controllabili. Il nostro spettacolo vuole invece proprio promuovere quella che è la diversità di ciascuno di noi, quel patrimonio che ci rende assolutamente unici e speciali.
Secondo te è ancora possibile tornare ad essere “umani”?
Boys In The Band tratta temi che sono sempre attuali e che riguardano tutti, non solo la comunità LGBTQ, protagonista dell’opera: quante volte ci facciamo inutilmente male fra di noi, che in fondo condividiamo la stessa sofferenza? Quante volte invece di scegliere l’empatia, preferiamo creare conflitto? Io sogno un mondo dove basta guardarsi negli occhi e riconoscersi come esseri umani in cammino che ogni giorno cercano di essere sempre più umani gli uni con gli altri.
La trama
The Boys In The Band è ambientata in un appartamento all’altezza della 50esima strada a New York, dove un gruppo di amici omosessuali ha organizzato la festa di compleanno per uno di loro, Harold (Paolo Garghentino), che compie 32 anni. Tutto inizia con l’arrivo di Michael (Francesco Aricò), il padrone di casa e man mano degli altri invitati: Donald (Gabrio Gentilini), Larry (Federico Antonello), Hank (Ettore Nicoletti), Bernard (Michael Habibi Ndiaye), Emory (Angelo di Figlia). A sorpresa però si presenta anche Alan (Samuele Cavallo), vecchio amico dei tempi del college di Michael, che dice di aver disperata necessità di parlare con lui. Alan rimane coinvolto, suo malgrado, in un crescendo di bevute, screzi, battute pesanti che culminano con l’arrivo di un giovane midnight cowboy (Yuri Pascale Langer) assoldato come “regalo di compleanno” e infine Harold, il festeggiato. Al culmine della serata Michael costringe i suoi ospiti a prendere parte ad una sorta di “gioco della verità” che si rivela brutale per molti di loro.
La prima, il film, il ritorno in teatro
The Boys In The Band andò in scena per la prima volta al Theatre Four di NY il 14 aprile del 1968 e, contro ogni previsione, rimase in cartellone per 1001 repliche fino al 6 settembre del 1970, divenendo così un punto di riferimento, un luogo di ispirazione per le grandi battaglie del Movimento omosessuale americano che ebbero inizio nel 1969. Un vero e proprio fenomeno di costume, uno spettacolo precursore dei tempi in grado non solo di anticipare il fermento della comunità Lgbt, ma anche di travalicare gli anni ed essere oggi più che mai un’opera di strettissima attualità. Nel 1970 la commedia divenne un film per la regia di William Friedkin che in Italia fu tradotto con il titolo Festa Di Compleanno Per Il Caro Amico Harold. In occasione del cinquantesimo anniversario della commedia (1968-2018) lo sceneggiatore e regista americano Ryan Murphy ha riportato in scena a New York The Boys In The Band con un cast stellare tra cui Jim Parsons, Zachary Quinto e Matt Bomer. Nel 2020 lo stesso Murphy ha realizzato un remake del film per Netflix con lo stesso cast della ripresa di Broadway di 2 anni prima.
Gli autori
Costantino della Gherardesca descrive così The Boys In The Band: “Un testo pieno di vita e molto divertente da tradurre, le battute hanno saputo resistere al passare del tempo. La trama è ricca di sorprese, aggancia l’attenzione dello spettatore e lo trascina come un fiume in piena verso un finale rivelatorio che lascia senza fiato. I ragazzi di Crowley sono personaggi in cerca di emancipazione e di liberazione sessuale, eroi che lottano con le proprie nevrosi prima ancora che con una società che non li tollera. Sono personaggi complessi, non sono semplici maschere. Per quanto non facciano nulla per farsi amare è difficile non provare una profonda empatia nei loro confronti”. Il regista Giorgio Bozzo aggiunge: “il testo di Crowley è un vero documento storico, che non serve solo a ricordare come eravamo, ma che riesce a far capire come si potrebbe tornare ad essere. Per questo, ben lungi dall’essere una pièce datata, The Boys ha oggi più che mai una forza di racconto e di motivazione per tutti coloro che hanno lottato e lottano per i diritti civili della comunità Lgbt, proponendosi come antidoto contro ogni tentativo di restaurazione e di oscurantismo”.