Solo da oggi al 27 gennaio arriva al cinema The Eichmann Show – Il Processo Del Secolo, uno dei più significativi eventi del XX secolo: il processo al feroce criminale nazista Adolf Eichmann. Scritto da Simon Block e diretto da Paul Andrew Williams, la pellicola ha come protagonisti Martin Freeman e Anthony LaPaglia. Il pubblico assisterà ad un emozionante appuntamento con la storia, carico di grande valore politico, culturale e morale.
Gerusalemme 1961. Il geniale produttore televisivo Milton Fruchtman (Martin Freeman) assume il regista Leo Hurwitz (finito nella ‘lista nera’ di McCarthy e interpretato da Anthony LaPaglia) per occuparsi delle riprese TV del processo al feroce criminale nazista Adolf Eichmann. Quello che viene offerto a Hurwitz è un lavoro dalle dimensioni epocali: per la prima volta nella storia un processo sarebbe stato trasmesso in Tv e per la prima volta il mondo intero avrebbe assistito alle scioccanti testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto.
Il risultato di questa importante operazione fu che l’80% della popolazione tedesca guardò almeno un’ora del programma ogni settimana; che venne trasmesso su tutte le reti in USA e Gran Bretagna; ma soprattutto che finalmente, dopo 16 anni dalla fine della guerra, si cominciò a parlare apertamente dell’Olocausto.
Vi proponiamo ora di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal produttore del film, Laurence Bowen.
Di cosa parla The Eichmann Show?
Parla della messa in onda del processo ad Eichmann nel 1961 – della storia poco nota del produttore e del regista di quella trasmissione che dovettero superare diversi ostacoli per poter riprendere il processo. Ogni giorno le riprese venivano spedite in 37 Paesi in cui il materiale veniva trasmesso il giorno successivo. Divenne la prima serie di documentari mai realizzata e all’epoca cambiò il modo in cui la gente vedeva la Seconda Guerra mondiale, perché per la prima volta ebbe modo di ascoltare la storia dell’Olocausto raccontata dalle sue stesse vittime. Storicamente ebbe un impatto enorme, ma fu anche un incredibile evento televisivo.
Quanto ne sapevi prima di questa storia?
Sapevo qualcosa del processo ad Eichmann ma, come accade a molte persone, non pensi alle macchine da presa quando pensi al processo. Stavo facendo delle ricerche sul processo, quando mi sono imbattuto in una breve discussione che citava il produttore, Milton Fruchtman; così ho cominciato a fare ricerche su Internet ed è stato interessante scoprire che quello era stato il primo processo ad essere ripreso in quel modo per la televisione. Poi ho scoperto che aveva coinvolto un regista che era stato nella ‘lista nera’ durante il periodo di McCarthy, offrendogli il primo lavoro dopo molti anni, e la cosa mi ha incuriosito ancora di più: perché il produttore aveva scelto quel particolare regista? Ho cominciato a fare ricerche sui due e sui loro curricula, e mi è sembrato che il rapporto di lavoro che avevano dovesse essere molto interessante. Poi ho immaginato gli ostacoli che avevano dovuto superare a Gerusalemme -il fatto che i giudici non volessero autorizzare la presenza di macchine da presa in aula e di come poi nei pochi giorni successivi loro avessero trovato una soluzione nascondendo le telecamere nei muri – e mi è sembrata una storia veramente interessante.
Perché hai voluto farne un film?
Ma l’altro aspetto importante è il processo ad Eichmann in sé e la decisione di Israele di chiamare a testimoniare 111 uomini e donne che avrebbero raccontato al mondo la storia dell’Olocausto. Mi è sembrata una forma narrativa molto coinvolgente. Ho pensato che avremmo dato la possibilità ad un pubblico nuovo – in gran parte all’oscuro di Eichmann e di tutta la vicenda- di conoscere quel mondo attraverso un film e di assistere al processo un po’ come aveva fatto il pubblico nel 1961 e di provare quelle emozioni incredibili e lo stesso orrore che il pubblico provò ascoltando quegli uomini e quelle donne che raccontavano cosa era accaduto loro durante la Seconda Guerra mondiale. Se oggi ascolti quelle storie per la prima volta, ti rendi conto che sono molto commoventi e scioccanti. Avere la possibilità di raccontarle di nuovo e di usare le riprese originali mescolandole al film che avremmo girato mi è sembrata una grande opportunità.
Che tipo di ricerche hai fatto?
Con Simon Block, che è uno sceneggiatore fantastico, abbiamo fatto ricerche a lungo e abbiamo passato circa sei mesi a cercare di scoprire con chi avremmo potuto parlare per sapere come fossero andate realmente le cose riguardo alla trasmissione televisiva. Il produttore, Milton Fruchtman, ha dedicato molto del suo tempo ad aiutarci a mettere insieme la storia. Sfortunatamente Leo Hurwitz è morto tempo fa, ma abbiamo lavorato con suo figlio Tom, che all’epoca andò a trovare il padre durante le riprese del processo. E poi abbiamo ritrovato la maggior parte dei componenti del team della produzione, molti dei quali sono oggi degli ottantenni, e siamo stati molto fortunati perché abbiamo potuto ascoltare quello che avevano da raccontare in prima persona, dando così alla nostra sceneggiatura la forma più realistica possibile.
Perché credi sia importante celebrare questo 70° anniversario?
Avevo studiato un po’ l’Olocausto a scuola e avevo visitato Auschwitz, per cui sono cresciuto pensando di conoscere l’Olocausto e di aver capito quanto fosse orribile. Ma quando ho cominciato a lavorare al progetto mi sono reso conto di non averne mai colto la portata sul piano emotivo – ne avevo compreso razionalmente l’orrore ma non mi ero mai sentito emotivamente coinvolto, perché è difficile riuscirci quando si tratta di così tante persone. Mi è sembrato potesse essere scioccante e disturbante mostrare di nuovo le riprese degli uomini e delle donne che testimoniarono al processo, raccontando in modo semplice i fatti accaduti durante l’Olocausto, e io mi sono sentito un privilegiato per il fatto di poter rendere possibile ancora una volta la condivisione di quelle storie. Infatti è stato solo quando mi sono seduto ad ascoltare la loro testimonianza che l’orrore inimmaginabile che aveva colpito l’Europa – con milioni di persone, non solo ebree, rastrellate, portate nei campi di concentramento e sterminate – ha acquisito a pieno la sua dimensione emotiva.
“Condividendo alcune storie di coloro che sono state vittime dell’Olocausto, spero che il film offra al pubblico una visione più profonda di ciò che quella tragedia ha significato per ogni singolo essere umano, al di là della semplice conoscenza del fatto storico, perché è solo comprendendo le storie individuali che arrivi a comprendere il tutto”.
Laurence Bowen