Jean-Pierre e Luc Dardenne tornano a raffigurare il reale e le difficoltà degli emarginati con Tori e Lokita, il film vincitore del Premio Speciale per il 75° anniversario al Festival di Cannes che dal 24 novembre è nelle nostre sale.
Il film
Un bambino di nome Tori (Pablo Schils) e Lokita (Joely Mbundu), una ragazza adolescente, hanno affrontato da soli un difficile viaggio per lasciare l’Africa e arrivare in Belgio. Qui, possono fare affidamento solo sulla loro profonda amicizia contro le difficoltà dell’esilio.
Jeanne Pierre e Luc Dardenne raccontano…
“Il nostro film racconta la storia di un’amicizia, di una bella e intensa amicizia, non di un’amicizia tradita, ma di un’amicizia che non viene mai meno. Solo quando abbiamo immaginato questo tipo di rapporto come fulcro del nostro film, abbiamo capito che i nostri due personaggi principali, Tori e Lokita, stavano prendendo vita come esseri umani unici, differenti rispetto all’immaginario dipinto dai media sui giovani migranti, considerati unicamente come “minorenni non accompagnati”, diventando molto di più della semplice fotografia di un problema, di una situazione, di un tema o di un argomento. Non che la loro situazione sia irrilevante. Tutt’altro. Al contrario, la loro situazione di adolescenti esiliati, abbandonati, sfruttati e umiliati ha acquisito una nuova dimensione grazie alla loro amicizia, che si è rafforzata grazie alla loro capacità di reagire e, senza volerlo, il nostro film è diventato anche una denuncia della situazione violenta e ingiusta vissuta da questi giovani in esilio nel nostro Paese, in Europa. Per Lokita, una ragazza adolescente, e Tori, un bambino appena uscito dall’infanzia, entrambi provenienti dall’Africa, dal Camerun e dal Benin, l’amicizia è un valore aggiunto fondamentale”.
“Non si tratta solo di essere presenti l’uno per l’altro, di aiutarsi a vicenda a pagare i contrabbandieri, a regolarizzare la propria situazione, a trovare lavoro sul mercato nero, inviare denaro alle famiglie, ecc….Si tratta anche di non poter stare l’uno senza l’altro, di amarsi come fratello e sorella, di formare una famiglia per non rimanere soli nel buio con i propri incubi, per lasciarsi consolare da un gesto, da una parola o da una canzone, per non sprofondare nella solitudine e negli attacchi di panico. Questa amicizia permette loro di resistere alla prova data dalla loro difficile condizione di esiliati e si rivela il rifugio di una preziosa dignità umana, preservata in mezzo a una società sempre più dominata dall’indifferenza, se non addirittura dal cinismo dei propri interessi. Il nostro più grande desiderio è che alla fine del film, il pubblico, che avrà provato un profonda empatia per questi due giovani esiliati e per la loro amicizia, provi anche un senso di rivolta contro l’ingiustizia che regna nella nostra società“.