Tratto da Un Sac De Billes, il libro di Joseph Joffo che ha venduto milioni di copie nel mondo, giovedì 18 gennaio arriva al cinema Un Sacchetto Di Biglie, il toccante film di Christian Duguay che farà vivere sul grande schermo una straordinaria storia vera sull’Olocausto.
Un Sacchetto di Biglie racconta la vera storia di due giovani fratelli ebrei nella Francia occupata dai tedeschi che, con una dose sorprendente di astuzia, coraggio e ingegno riescono a sopravvivere alle barbarie naziste ed a ricongiungersi alla famiglia.
Vi proponiamo ora un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Christian Duguay.
Com’è cominciata per lei questa avventura?
Nel momento in cui mi hanno chiesto se conoscessi il libro di Joffo, ho dovuto ammettere che non lo avevo mai letto. Infatti il libro è poco conosciuto in Quebec. Scoprendolo, sono rimasto colpito dalla tenacia, la convinzione e la forza che ci sono in questa storia piena di speranza. E un’epopea luminosa, raccontata dal punto di vista dei bambini, sul mondo che li circonda e sulla maniera in cui la realtà li raggiunge. La storia è così forte, ma soprattutto così sfortunatamente universale, che è impossibile non vederci l’attualità, la sofferenza, e sì, a volte i momenti di felicità delle popolazioni che si spostano oggi nel mondo.
Come si è svolto l’incontro con Joseph Joffo?
Con Joseph abbiamo parlato soprattutto di suo padre e dalla sua voce ho compreso cosa c’entra nel cuore del libro. Nell’opera, che è diventata il mio libro preferito, e in quello che mi ha raccontato Joffo ho scorto il legame tra Joseph e il mio cinema. Infatti, il mito del padre si ritrova in tutti i miei film. Per me, la figura paterna è divina, dà sicurezza; invece, nel libro, il padre è evocato ma non è la spina dorsale del racconto.
Che impostazione avete voluto dare all’adattamento?
Il libro è alla prima persona ma è stato scritto trent’anni dopo gli eventi. Invece, il film sposa sempre il punto di vista di un bambino senza la distanza del narratore del libro. È una storia di formazione all’interno della quale loro vivono avvenimenti così incredibili che quando Jo torna a Parigi, quasi due anni dopo, non è più lo stesso.
Lei conosce quell’epoca, visto che ha realizzato un film su Hitler. Tuttavia, ha sentito l’esigenza di documentarsi sul periodo storico?
Effettivamente, mi ero già preparato tanto per fare Hitler e conoscevo bene il contesto politico, ma ero affascinato dall’Occupazione tedesca. Quel maschilismo della politica e la divisione tra chi abbassava la testa e chi si ribellava, mi affascinava. Secondo me, era necessario sentire la Storia tramite gli scenari. Per esempio, nella parte nizzarda, quando si vedono gli italiano lasciare la Francia in maniera precipitosa, si capisce che sono sbarcati gli alleati. Sono dettagli simili che ci permettono di non essere troppo didascalici. Lo ripeto, è l’universalità di questa storia la cosa che ha emozionato tanto la gente da quando è uscito il libro. Si sono visti moltissimi film su questa epoca, ciò che conta oggi è la verità delle emozioni, che restano ancora le stesse, anche se oggi lo scenario è cambiato.