In questi giorni è arrivto in libreria, per AG Book Publishing, Un Secolo Disney: Gender, Femminismo ed Etnia tra Cinema e Animazione, un testo molto accurato e interessante scritto da Maria Saccà (già autrice di un libro dedicato a Tom Hanks). Questa sua nuova monografia si pone l’obiettivo di esaminare i comportamenti mediatici del pubblico nei confronti del più grande impero dell’intrattenimento cinematografico (e ad oggi possiamo dire anche televisivo e digitale), The Walt Disney Company, e al tempo stesso di analizzare come il colosso mediatico (che, a partire dagli anni Duemila, ha acquisito le case di produzione Pixar, Marvel, Lucasfilm e il conglomerato mediatico 21st Century Fox) risponda alle esigenze sollecitate dalla massa. Il volume mira, inoltre, a comprendere e approfondire come fenomeni sociologici quali il gender, il femminismo e l’etnia siano stati introdotti e si siano ampliati nelle vastissime produzioni dello Studio. Dei temi affronti da questo testo, ne abbiamo parlato con l’autrice, Maria Saccà.
Un Secolo Disney è un viaggio nel tempo, dai primi dell’industria-cinema ai tempi moderni. Prima di tutto volevo chiederti cosa ti ha spinto a compiere questa bella e importante ricerca?
Ci tengo a precisare che, prima di diventare un libro, Un Secolo Disney nasce come tesi magistrale. Essendo da anni redattrice di vari siti di cinema online, mi sono resa conto di quanto la Disney, anno dopo anno, stesse iniziando a monopolizzare sempre di più la produzione cinematografica. Soprattutto in vista dell’acquisizione della 20th Century Fox (quando ho iniziato questo lavoro di ricerca, ancora doveva concludersi l’accordo, dunque ho seguito i vari processi in itinere) e del lancio del primo servizio streaming Disney (Disney+), ho pensato che molti potessero trovare interessante una panoramica (esaustiva per quando possibile) dello Studio. In seguito a questa idea iniziale, ho deciso di accostare allo studio della Disney in quanto major, dei fenomeni di particolare trattazione odierna, quali il gender, femminismo ed etnia, specialmente alla luce delle recenti controversie che hanno colpito la Casa di Topolino su questi temi. Così è iniziata la mia ricerca, consultando migliaia di libri americani e non, riscoprendo cortometraggi e film quasi dimenticati, e guardando con un nuovo sguardo quei classici d’animazione Disney “apparentemente” innocui.
Dai primi cinematografi ai grandi cinema storici, dalle moderne multisale alle sempre più recenti visioni “private” a casa, tra streaming e on-demand. Com’è cambiato il modo di raccontare le storie?
Si parla di cinema come un grande strumento di comunicazione/sperimentazione/fascinazione nato alla fine dell’Ottocento, grazie ai Fratelli Lumière che hanno rivoluzionato completamente il mondo, dando l’impressione di far “uscir fuori” da uno schermo una semplice locomotiva a vapore. Al di là di questo, però, non ci rendiamo conto che il cinema di oggi è un qualcosa di completamente diverso, nonostante implichi nuovi tipi di sperimentazione grazie all’inarrestabile progresso della tecnologia. Oggi, c’è una sperimentazione continua, ma le storie più che essere raccontate per il piacere di una fruizione cinematografica, per un piacere di evasione, sono spesso presentate e gestite in funzione di un ritorno economico. L’arte vera e propria è diventata ormai rara, si pensa soltanto al Dio denaro. Basta vedere anche il lancio di tutti questi servizi streaming (Netflix, DC Universe, Disney+, Apple, Amazon Prime ecc.) e la conseguente creazione di prodotti originali delle varie piattaforme, che naturalmente vanno a ledere il cinema in quanto tale.
Si ha l’impressione che sia la società di massa, con i suoi gusti, sempre più monitorati (pubblicamente o meno…), a guidare l’industria. Ci sono sempre più Prodotti Cinematografici che Film. Sei d’accordo?
Con questa domanda, mi ricollego a quanto risposto prima. Sono assolutamente d’accordo. Oserei dire che, più si va avanti, più i film vengono fatti su misura per il pubblico. Gli spettatori, oggi forse più che mai, condizionano le produzioni cinematografiche (a maggior ragione se si tratta di blockbuster, come i film Marvel mi viene da pensare), sono presenti in esse anche implicitamente, grazie al flusso comunicativo continuo che viene generato dai molteplici social e da internet in generale.
La nostra è un’epoca dominata da una comunicazione incessante, rumorosa, caotica, dove spesso i messaggi, seppur nobili, si perdono in un attimo nell’oceano di informazioni (spesso false, vedi il fenomeno delle fake news). Quanto è difficile per l’Arte (in questo caso il cinema) riuscire ancora a far riflettere gli spettatori e a scuotere il pubblico?
Nella nostra epoca è estremamente difficile, se non quasi impossibile, scuotere il pubblico, non solo da un punto di vista di messaggio da veicolare, ma anche proprio di immagini. Mi viene da pensare agli horror per esempio, film come Shining o Profondo Rosso oggi vengono considerati più thriller psicologici che horror in quanto tali, proprio perché in questi decenni si è promossa una diversa educazione all’immagine. Ormai, proprio a causa dell’accesso diretto a innumerevoli informazioni (sia verbali che visive), il rischio è che tutto scivoli addosso con grande facilità, col rischio di un’immensa apatia globalizzata. Non a caso, i film che recentemente hanno scosso il pubblico, sono quelli più strani e non convenzionali (come nel caso di Madre! di Darren Aronofsky o La Casa di Jack – The House That Jack Built di Lars Von Trier), che mirano proprio a creare percezioni discordanti e di stupore nelle masse.
Donne, Dive, Femminismo. Nel tuo libro hai dedicato un capitolo ai personaggi femminili della Disney. Come sono cambiati nel tempo?
Potrei argomentare all’infinito, infatti il capitolo su Donne, Dive e Femminismo è il più lungo e articolato. Relativamente ai personaggi femminili Disney, mi limito a esporre i cambiamenti più vistosi, da Biancaneve (prima principessa Disney) a Elsa e Anna di Frozen: evoluzioni e cambiamenti che non riguardano soltanto il progresso delle donne nella società, ma anche la loro resa visiva. Fondamentalmente, si passa da una tipologia di donna più ingenua, remissiva, servizievole e sognante a una più pragmatica, risolutiva e indipendente, che si svincola dalla presenza maschile.
Gli ultimi due capitoli sono dedicati a Gender (l’esplorazione della sessualità) ed Etnia. Secondo te perché oggi c’è così tanta paura del “diverso”? Quanto è importante parlarne (anche al cinema)?
La paura del diverso non è una cosa che contraddistingue la nostra epoca, c’è sempre stata, e probabilmente ci sarà sempre (anche se si spera di eliminarla o quanto meno attenuarla). C’era sia quando le persone di colore o di etnia diversa venivano caratterizzate come il malvagio e l’ambiguo nei primi cortometraggi d’animazione (anni ’30-’40), sia quando alcuni celebri villain come Ursula, Jafar o Scar furono concepiti come figure dai tratti transgender. La differenza dai decenni precedenti è che oggi c’è la volontà di parlarne, di “uscire allo scoperto”, familiarizzando anche i più restii ad accogliere e accettare la diversità. Il cinema, come anche altre forme artistiche, ha la possibilità di potersi rivolgere a tutti, normalizzando quelle che un tempo venivano considerate “deviazioni”. Non è assolutamente un compito facile, perché deve cercare di normalizzare mantenendo un certo equilibrio e non facendo sentire nessuno escluso.
Ho sentito spesso questa frase/pensiero: “sui social, su tutti Instagram, si vedono sempre più ragazze/donne scattarsi foto. Pensano soprattutto all’immagine esteriore di se stesse, e si stanno involgarendo: non ci sono più Principesse da corteggiare”. Tu, come giovane donna, cosa ne pensi?
Penso che, col crescente uso dei social, si sia arrivati a un’oggettificazione massima della donna. Per decenni, donne illustri hanno tentato di scardinare questi preconcetti femminili, ed è davvero demotivante assistere alla totale distruzione di queste lotte per ottenere manciate di like. Come se una ragazza/donna debba essere approvata soltanto per particolari caratteristiche fisiche. E la cosa più triste è che sono le stesse donne a veicolare questa oggettificazione, mediante un’esibizione volontaria e orgogliosa del proprio corpo.
Ora però sono curioso: fantasticando, quale personaggio della Disney ti sarebbe piaciuto essere? E dimmi anche il perché!
Sono sempre stata indecisa tra due principesse Disney: Ariel e Jasmine. Innanzitutto, per quanto riguarda Ariel, chi è immune al fascino della sirenetta?! È una delle più belle, ed è stata concepita visivamente dallo studio con un particolare ideale di bellezza, ben diversa dalle sue “colleghe” precedenti. Lo stesso vale per Jasmine, accentuata dal fascino dell’esotico e dalle storie da mille e una notte. Forse, ciò che mi ha conquistato di questi personaggi, è la loro umanità, al di là della raffigurazione e dell’ambientazione. Sono le prime principesse Disney che mostrano dei difetti: non sono perfette e servizievoli come Biancaneve e Cenerentola, ma protendono più verso una sorta di emancipazione e, soprattutto, sono più ribelli e determinate nel perseguire il loro obiettivo, anche a costo di far calare un’ombra sulla loro immagine perfetta di donne Disney.
Intervista di Giacomo Aricò