Considerato uno degli artisti più poliedrici del Novecento in ambito teatrale, radiofonico e cinematografico, Orson Welles nasceva a Kenosha esattamente un secolo fa. Nella sua illuminante vita artistica ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui la Palma d’oro a Cannes nel 1952 e il Premio Oscar alla carriera nel 1971. Nel 2002 è stato votato dal British Film Institute come il più grande regista di tutti i tempi. L’American Film Institute ha inserito Welles al sedicesimo posto tra le più grandi star della storia del cinema. Oggi lo vogliamo celebrare ricordando il suo film più celebre, Quarto Potere (Citizen Kane, prodotto dalla RKO nel 1941). Per questo abbiamo deciso di intervistare lo Storico e Critico di cinema Nuccio Lodato e Francesca Brignoli, specialista di attività dello Spettacolo presso l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Pavia. Insieme hanno infatti appena pubblicato Orson Welles – Quarto Potere, edito dalla Lindau. Un testo che approfondisce il capolavoro assoluto di Welles che Nuccio Lodato e Francesca Brignoli portano nelle librerie dopo la loro precedente e recente opera Marilyn Monroe – Inganni.
Cent’anni fa nasceva Orson Welles, un “gigante” del cinema, un genio del suo tempo. Voi come lo definireste sia come Uomo che come regista/attore?
Nuccio Lodato – Tra le mille possibili definizioni, ne privilegerei una di se stesso, data da Welles medesimo: «Io sono uno di quelli che interpretano i Re».
Francesca Brignoli – L’esploratore solitario e ossessivo del più grande labirinto.
Avete appena pubblicato Orson Welles – Quarto Potere, libro dedicato a quello che è considerato il suo capolavoro. Ricco di citazioni e suggestioni, cosa rappresenta questo film nella storia del cinema? Quanto lo trovate ancora oggi “moderno”?
Nuccio Lodato – E’ esattamente quanto ci siamo chiesti, e abbiamo cercato di spiegare prima a noi stessi, e di conseguenza a chi leggerà. Chi riveda oggi il film (per non dire, i giovani o meno tali che lo vedranno per la prima volta) oltre a scoprirne l’incommensurabile valore artistico, resterà stupito della sua capacità anticipatrice: rispetto al rapporto tra politica e mass media, ad esempio. Per non dire delle anche troppo evidenti, dettagliate analogie tra la parabola di Charles Forster Kane e quella di un ex-presidente del Consiglio italiano, ripetutamente tale a furor di popolo nell’ultimo ventennio. Per ricorrere alle parole di un bravissimo critico italiano che abbiamo citato, Gualtiero De Santi, «Welles intuisce la pervasività della nuova forma immaginaria del capitale, il suo incontenibile diffondersi e moltiplicarsi in infiniti rivoli e specchi, e la trasformazione epocale del denaro e dell’impresa in qualcosa di fluido e di fittizio». Esattamente quanto ci ha seduti (quasi) tutti per terra dal 2008 ad oggi.
Francesca Brignoli – Per sapere cosa rappresenti Citizen Kane basta tornare a leggere le pagine che ogni volume di storia del cinema dedica al capolavoro di Welles. Dire che è il film che crea e celebra il concetto di autorialità è, tra le tante definizioni, quella che, in questo momento, mi piace di più. Oggi, a più di 70 anni dalla sua uscita, Quarto Potere resta il riferimento di un modo “assoluto” di concepire e fare un film. Suggerisco di tornare a quanto un grande maestro della modernità, Francois Truffaut, scrisse sul film (e a rivedere Effetto Notte, dove esplicitamente il regista francese ne celebra come un’ossessione la potenza assoluta al di là del tempo).
Oltre agli elogi, la critica ai tempi parlò di film “kafkianamente nichilista”, che soffre di “pedanteria” di “Gigantismo” e di “Don Giovannismo” estetico o di “barocchismo”. Voi cosa ne pensate?
Nuccio Lodato – Sono critiche che furono effettivamente avanzate, ma possono, proprio volendolo, essere più riferibili a taluni aspetti dell’opera wellesiana successiva e intesa nel suo complesso. Rispetto a Quarto Potere oggi appaiono francamente datate, e ci furono alcuni analisti anche illustri – Umberto Barbaro, per fare il primo nome che viene in mente – che presero su questo capolavoro la classica cantonata: peraltro sempre in agguato quando si fa critica. D’altronde, in un’intervista di quasi quarant’anni fa, che ho ripetutamente pubblicato, uno dei più raffinati esperti di cinema del secolo scorso, Peter Kubelka, allora conservatore della Cineteca nazionale viennese presso l’Albertina e filmmaker d’avanguardia di fama mondiale, mi dichiarò di odiare Welles, considerandolo uno intento esclusivamente a dimostrare in tutti i modi di essere un genio.
Francesca Brignoli – Penso che tutte queste definizioni siano molto suggestive e che ognuna riveli un aspetto del film. D’altra parte è l’opera più studiata, analizzata (sotto ogni punto di vista: estetico, tecnico, narrativo, politico, sociale, psicanalitico…) e decostruita della storia del cinema. Alla fine però ci si trova davanti al film, al di là di ogni esegesi, ed è “in purezza” che invito a rivederlo. Per poi leggere e studiare, naturalmente.
Ispirato a figure come William Randolph Hearst e Howard Hughes, Quarto Potere racconta la vicenda di un uomo che costruisce un impero, che ha avuto tutto, ma che ha perso l’infanzia e quindi ha perso “l’innocenza”. Quanto c’è di autobiografico nel personaggio di Kane?
Nuccio Lodato – Abbastanza. Pensiamo solo alla sua infanzia, prima ricca poi non più: al suo essere restato orfano assai prematuramente. Ma non è un discorso che porta molto lontano: in qualunque lavoro d’autore l’autobiografia, a volercela cercare, è inevitabile, scontata. Senza peraltro saper condurre al cuore dell’opera o a rivelarne gli ipotetici “segreti”.
Francesca Brignoli – Sicuramente c’è molto di Welles in Charles Foster Kane: d’altra parte ogni artista, anche nelle prove apparentemente più lontane, parla di sé. A voler vedere il film sotto la chiave autobiografica (per un autore che ha fatto il film a soli 25 anni!) di tangenze se ne trovano molte. Questa però, per quanto mi riguarda, non è la chiave più importante, sebbene sia molto seducente.
Prima dell’originale “Citizen Kane”, tra i primi titoli del film c’era anche “American”. Quanto questa pellicola descrive l’America e il mito del sogno americano?
Nuccio Lodato – In misura totale, incalcolabile. E’ lo stesso protagonista a dichiararlo, in un passo del finto cinegiornale che apre il film esponendone la biografia. Alle accuse, incrociate e che si elidono a vicenda, di essere per gli uni comunista, per gli altri fascista, Kane risponde: «Sono, sono stato e sarò una sola cosa: un Americano».
Allo stesso tempo è un film sull’Uomo, una riflessione esistenziale ed una riflessione sul senso della vita. Con riferimento all’“Ecclesiaste” della Bibbia, è davvero la vanità, la fama ed il potere – negli anni del capitalismo “aggressivo”, della finanza e di Wall Street – che danno un senso alla vita di Kane?
Nuccio Lodato – Pur avendo ormai, grazie al lavoro per il libro, imparato praticamente a memoria il film, non sono in grado di rispondere a questa bella domanda. Secondo me, orientandoci tra le due, vere o apparenti, parole-chiave del film, quella decisiva non è “Rosebud”, il nome della slitta-nostalgia dell’infanzia perduta, che pure Kane morendo invoca nella prima sequenza, e il cui senso pare essere rivelato dall’ultima. E’ l’altra, il “No Trespassing” del cartello ammonitore all’esterno di Xanadu, il suo inaccessibile mausoleo-prigione. Che non a caso compare come prima e ultima inquadratura. Kane nel profondo è inconoscibile, come tutti gli uomini. In fondo siamo soltanto parzialmente conoscibili anche a noi stessi. Per quello che riguarda capitalismo e finanza aggressivi, credo che i veri anni della loro profonda manifestazione azzannante siano più quelli che stiamo vivendo attualmente, che non i descritti dal film o quelli della sua stessa realizzazione.
Panoramiche a schiaffo, campi lunghissimi, l’utilizzo della focale profonda, piani sequenza lunghi e statici, spazi immensi e vuoti, e poi ancora i documentaristici (e finti) cinegiornali, i flashback e l’uso del suono. In “Quarto Potere” vediamo uno stile di regia davvero unico e Orson Welles diventa una vera e propria firma. Qual è la sequenza che trovate più memorabile? A me personalmente la carrellata all’indietro nella scena in cui la madre firma per cedere la tutela del figlio a Tatcher con il piccolo Kane sulla neve…
Nuccio Lodato – Non si può assolutamente che concordare: è una delle più belle se non la più bella sequenza della storia del cinema, almeno per quanto ne conosco. Come la più geniale, volendo, potrebbe essere rappresentata proprio dal finto cinegiornale introduttivo di cui parlavamo prima.
Francesca Brignoli – La novità che il film rappresenta, anche e tanto dal punto di vista tecnico, è nota. Non va dimenticato a questo proposito l’apporto del direttore della fotografia Gregg Toland. Mi spingo a dire che, come nella letteratura italiana dalle origini ad oggi si rintracci la linea dantesca, nella storia del cinema ci sia quella wellesiana, cui ci si rapporta soprattutto come riferimento formale. Al punto che, in alcuni casi, specie dal punto di vista critico, di certe definizioni– mi riferisco su tutto al “barocchismo” – si abusa un po’, semplificando in questo modo Welles e lo stesso barocco. Ad ogni modo, per quanto riguarda la sequenza, per me resta formidabile quella dell’inizio della recita di Susan nei panni di Salambô: crudelissima e acrobatica (con quel carrello verticale che scopre salendo scenari di cartapesta fino al gesto di disprezzo dei due operai). Non solo: la sequenza fa capire cosa intendeva Welles quando parlò di Quarto Potere anche come una commedia.
In Quarto Potere la personalità di Welles, ancora giovanissimo, si impone sul film stesso, sovrastandolo. Una svolta epocale nella storia del cinema. Cosa ci potete raccontare della “megalomania” di Welles e dei progetti “irrealizzabili” (perché eccessivamente costosi) che tentò di girare dopo?
Nuccio Lodato – Non sono sicuro di concordare con la premessa. Personalmente credo – o temo, visto, col senno di poi, come sarebbero andate le cose- che sia stato piuttosto proprio il film a imporsi su Welles. Esordire con un’opera prima così unica e irripetibile può tagliare le gambe a chiunque. In fondo nessuno ce l’ha più fatta a presentarsi con un debutto a quel livello. Ma Welles poi è stato tutt’altro che megalomane: si è guadagnato la vita come (grandissimo, anche nella gigioneria) attore, e ha sudato sangue per realizzare i film successivi. Pensiamo solo alle traversie di Otello: ci sono nel film tre Desdemone diverse (Lea Padovani, Betsy Blair e l’ultima prevalente, Suzanne Clouthier) reclutate – o raccattate – via via nel triennio in cui Welles riuscì ad assemblare il film nei ritagli di tempo, di spazio e di… danaro via via offertiglisi tra il ’49 e il ’52. Nel film realizzato vent’anni fa dalla sua ultima, devota (anche alla memoria) compagna, Oja Kodar, con Vassili Silovic, The One Man Band, questa “povertà” produttiva condizionante per tutta la vita viene illustrata molto bene. Un’altra dimostrazione evidente l’avremo nel giorno del centenario: esce per la prima volta completato The Other Side of the Wind, cui Welles lavorò invano senza poterlo assemblare per anni e anni.
Francesca Brignoli – A proposito del sovrastare il film: che grandissimo attore Welles. Qui e in tutte le altre prove, innumerevoli, non solo nei suoi lavori. Tecnicamente straordinario, cosi lontano da ogni naturalezza. I progetti non realizzati ci parlano tanto delle sue scelte e ossessioni intellettuali e artistiche e sono fondamentali per scoprire ulteriormente il suo genio. Penso tuttavia che la loro mancata realizzazione sia da leggere non solo in termini di megalomania e quindi di “mostruosità” anche a livello di impegno produttivo, ma soprattutto come segno di inquietudine olistica di Welles, apolide del cinema e non solo, la cui personalità gli impedì costantemente di trovare un “luogo” in cui fermarsi e inserirsi.
Quali altri film di Orson Welles avete apprezzato e perché.
Nuccio Lodato – Meno se ne indicano più significativa è la risposta, direi. Il mio più amato è sicuramente L’Orgoglio degli Amberson, immediatamente successivo a Citizen Kane. Quello che avrebbe potuto essere se l’autore non ne fosse stato spossessato, e quello che è risultato anche nell’edizione approntata senza e contro di lui. Considero il film un interlocutore diretto a pieno titolo della grande rivoluzione narrativa del Novecento. Senza riferirmi al romanzo non eccelso di Booth Tarkington da cui è tratto, ma a quanto avevano e avrebbero scritto James e Mann, Proust e Joyce. Ma altrettanto amore potrebbe essere riversato sui tre film shakespeariani pubblicati (per me, particolarmente, sull’ultimo, Falstaff: e non vedremo mai Il Mercante di Venezia, di cui la Kodar ha mostrato sequenze sublimi) o sulla genialità dei “polizieschi” poveri come La Signora di Shangai o L’Infernale Quinlan (meno persuasivo, a mio modesto avviso, il pur osannatissimo Rapporto confidenziale). E, Amberson a parte, sto citando film in cui Welles è sempre anche il protagonista.
Francesca Brignoli – Al di là della passione per L’Orgoglio degli Amberson, cui si aggiunge il motivo autobiografico affettivo (ricordo la prima visione con la guida del Prof. Lino Peroni, mio professore di Storia e critica del Cinema all’Università di Pavia, che amava molto questo film), mi piace ricordare La Storia Immortale: celebrazione della potenza demiurgica del regista/narratore e riflessione sull’arte in cui Welles recita con la leggendaria attrice e sua grande amica Jeanne Moreau.
Considerato un “enfant prodige”, di Welles rimarrà per sempre nella memoria collettiva lo scherzo radiofonico de “La Guerra dei Mondi”. Oggi la società e tutta la comunicazione di massa è cambiata radicalmente…
Nuccio Lodato – È lo stesso discorso del precursore già tratteggiato all’inizio per il film. Il clamore suscitato dalla falsa invasione marziana “lanciata” da Welles nel ’38 via radio è l’antesignano dell’onnipotenza via via raggiunta negli ottant’anni successivi da alcuni mezzi, totalmente dominanti fino ad oggi.
Intervista di Giacomo Aricò