Giovedì 22 gennaio esce al cinema Il Nome del Figlio, il nuovo film diretto da Francesca Archibugi che lo ha anche scritto insieme a Francesco Piccolo. Protagonista un cast di primo livello: Alessandro Gassmann, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo e Micaela Ramazzotti. Nella colonna sonora, Lucio Dalla.
Al centro del film le vicende di una coppia in attesa del primo figlio: Paolo (Alessandro Gassmann), estroverso e burlone agente immobiliare, e Simona (Micaela Ramazzotti), bellissima di periferia e autrice di un best-seller piccante. Oltre a loro Betta (Valeria Golino), sorella di Paolo, insegnante con due bambini, apparentemente quieta nella vita familiare, e Sandro (Luigi Lo Cascio), suo marito, raffinato scrittore e professore universitario precario. Tra le due coppie l’amico d’infanzia Claudio (Rocco Papaleo), eccentrico musicista che cerca di mantenere in equilibrio gli squilibri altrui.
Potrebbe essere la solita cena allegra tra amici che si frequentano e si sfottono da quando erano bambini, ma invece una domanda semplice sul nome del figlio che Paolo e Simona stanno per avere, induce a una discussione che porterà a sconvolgere una serata serena.
Remake italiano della strepitosa commedia francese Cena Tra Amici di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, Il Nome del Figlio si svolge principalmente nella casa di Betta e Sandro. Poche settimane di riprese e costi contenuti: “sono tempi difficili, davvero i più difficili da quando ho cominciato a fare cinema – spiega Francesca Archibugi – ma le difficoltà ci danno gioia creativa, mica depressione”.
Come un vero e proprio allestimento teatrale, l’abitazione della famiglia Pontecorvo (Betta e Sandro) è stata riempita di ben cinquemilacinquecento libri. Un modo per costruire l’identità dei protagonisti: “il loro presente contiene il passato, perché questi personaggi sono tutti, ognuno a suo modo, ammalati del desiderio struggente di fermare il Tempo. Fanno fatica ad accorgersi del mondo fuori che è cambiato, nostalgici dell’infanzia per l’illusione che siano esistiti tempi migliori”.
I cinque personaggi cartacei, provenienti da una pièce teatrale (Cena Tra Amici nasce in teatro), sono stati immersi dalla Archibugi dentro il corpo e il cuore delle cinque persone che li interpretano: “li ho lasciati sfrenare nella estemporaneità e istintività della recitazione, e non hanno dato al film altro che regali. L’improvvisazione è quella folata di vento che entra dalla porta lasciata aperta come suggerisce Jean Renoir, ma se non hai fatto prima un lavoro pignolo e meticoloso, spesso resta velleitarismo”.
Così le prove sono durate moltissimo: tempi di dialogo provati e riprovati, cronometraggio dei movimenti, segni delle posizioni per terra. “Penso che l’improvvisazione vada accolta a braccia spalancate con la tecnica. La cosiddetta “direzione degli attori” è un concetto da rovesciare, bisogna tentare di avere la lucidità e la spregiudicatezza di farsi “dirigere dagli attori”. Spiega la regista, che aggiunge: “per chi non fa un cinema di situazioni, ma tenta di farne uno di personaggi, è proprio la profonda emulsione fra la carta della sceneggiatura e l’attore come persona che determina non solo la riuscita del ruolo, ma proprio dell’intero film”.
Sotto la luce i cinque protagonisti, molto diversi tra loro per stile interpretativo e provenienza. Per la Archibugi sono “cinque articoli di un catalogo di esseri umani, di Tipi Psicologici”. Che lo spettatore conosce nell’arco di una sola notte.
“Siamo ripartiti dalla commedia teatrale, più che dal film – spiega Francesco Piccolo – per ché volevamo avere nelle mani un testo che si avvicinasse il più possibile alla drammaturgia, che assomigliasse a un punto di partenza letterario. Nella sostanza, siamo andati a riprenderci tutto il percorso narrativo della commedia francese e abbiamo trasformato ogni singolo personaggio in un italiano, qualcuno che conoscevamo, che ci assomigliava, qualcuno che avremmo voluto essere, che non avremmo voluto essere, che forse siamo senza accorgercene o senza accettarlo”.
Così è nata l’idea di fare il remake italiano di Cena Tra Amici, come sottolinea Piccolo: “a voler parlare male di noi, e allo stesso tempo a volerci guardare con tenerezza, avevamo bisogno di avere una colonna vertebrale già pronta, sulla quale operare. Vedendo il nostro film, mi sembra di vedere una storia che non soltanto abbiamo scritto noi, ma che avremmo voluto scrivere noi”.
“Quando abbiamo visto Cena Tra Amici – continua Piccolo – abbiamo deciso di provarci perché non abbiamo visto soltanto il film francese, ma anche delle migrazioni possibili in una situazione che ci poteva riguardare. È come se l’avessimo usato – con tutto il rispetto possibile – come uno strumento, un mezzo di trasporto, appunto, per andare dove ci interessava andare”.
Così questa cena è diventata “una buona occasione per parlare di noi, del nostro Paese, di questa divisione che lo ha attraversato con più chiarezza negli ultimi venti anni” spiega lo sceneggiatore. Una divisione che “non sta sulle sponde opposte di due continenti lontani, ma all’interno della stessa famiglia, di gente che ha condiviso il banco di scuola o le canzoni più amate. E che quindi entra con prepotenza e tenerezza dentro le vite private di cinque persone che nella sostanza, alla fin fine, si vogliono molto bene”.
“I progressisti divenuti conservatori, ma sfottuti dolcemente: siamo noi. Siamo ridicoli. Facciamo ridere, eccoci in commedia”
Francesca Archibugi