Tratto dal primo romanzo di Guy de Maupassant, è da oggi al cinema Una Vita (Une Vie), il film diretto da Stéphane Brizé che era stato presentato in Concorso alla 73. Mostra del Cinema di Venezia. Protagonista una bravissima Judith Chemla.
Jeanne (Judith Chemla) è una giovane donna che nella Normandia del 1819 esce dal convento in cui ha studiato e abbandona i suoi sogni da bambina e la sua innocenza per sposare un visconte locale, Julien de Lamare (Swann Arlaud). Mentre Julien si rivela il più infedele dei mariti, Jeanne affida ogni suo sentimento al figlio Paul (Finnegan Oldfield), che crescendo si rivelerà più interessato al denaro che agli affetti.
Vi proponiamo ora un estratto dell’intervista rilasciata da Stéphane Brizé.
In questa storia di una giovane donna del XIX secolo, siamo molto lontani dai problemi legati alla disoccupazione.
Il contesto non potrebbe essere più differente, ma io intravedo un filo comune che passa attraverso tutti i miei film, inclusi questi due. Jeanne e Thierry, il personaggio interpretato da Vincent Lindon, sono entrambi idealisti riguardo alla vita. Thierry afferma i suoi ideali rifiutando una situazione insostenibile; Jeanne esprime la fede nei suoi ideali manifestando una estrema fiducia nell’umanità. Naturalmente i contesti sono così lontani che le storie finiscono inevitabilmente per essere differenti. Ma io vedo una connessione tra questi personaggi, oltre la loro epoca e la loro appartenenza sociale.
Ci sono similitudini tra lei e Jeanne?
La visione del mondo di Jeanne mi appartiene. Jeanne entra in quella che chiamiamo età adulta senza poter elaborare la perdita del paradiso della propria infanzia – che è il momento della vita in cui ogni cosa appare perfetta. Quel momento della vita in cui gli adulti sono o crediamo che siano coloro che conoscono ogni cosa, quelli che ti dicono che è sbagliato mentire e che quindi non mentono. In quel momento della vita, vedi le cose senza il loro passato. È un momento perfetto. Quando diventi grande gli ideali diventano meno nitidi, fino al momento del disincanto. Per evitare che questo succeda, devi munirti degli strumenti per proteggerti. Devi comprendere i meccanismi che collegano le persone tra di loro e che ti insegnano a tenere la giusta distanza per evitare profonde delusioni quando arriva il momento in cui dobbiamo confrontarci con la brutalità dei rapporti umani.
Evidentemente a Jeanne manca questa distanza.
Jeanne non vuole, non può o non sa come rendere più matura la propria visone del mondo. Questo la rende una persona eccezionale. È un individuo straordinario perché la sua mente è priva di secondi fini. Semplicemente, quello che la rende più affascinante è al tempo stesso la sua rovina. Trovo questo paradosso così ricco di fascino e commuovente.
Il suo è un adattamento e, come in tutti gli adattamenti, alcuni elementi sono differenti dal libro.
È il mio secondo adattamento dopo Madeimoselle Chabron. Al tempo avevo compreso che se volevo essere fedele, dovevo tradire. Poteva sembrare una provocazione riferito alla storia di Jeanne. La sfida era fare in modo che gli aspetti letterari passassero in secondo piano rispetto a quello che c’era di cinematografico. Questa è stata la parte più complicata, in effetti. I romanzi di Maupassant hanno una struttura narrativa specifica, devi andare oltre la forza della letteratura per riuscire ad approdare ad una forma narrativa che è puramente cinematografica.
Secondo la sua affermazione, quindi, bisogna tradire per essere fedeli all’opera. Quale è il tradimento più grande che si è permesso?
La più grande differenza tra il film e il libro è nel punto di vista. Il film è sempre raccontato dal punto di vista di Jeanne. Non c’è una scena in cui lei non sia presente. Un personaggio può esistere solo insieme a lei. Questo ci ha obbligato a modificare una scena in particolare: la morte di Julien. Nel libro, Monsieur de Fourville spinge la carrozza in cui sono nascosti Julien e Gilbert da una rupe. I due amanti muoiono schiantandosi sulle rocce. Il solo modo di mostrare questo omicidio sarebbe stato filmarlo. Ma dovendo filtrare tutto attraverso il punto di vista di Jeanne questo non era possibile: lei non poteva aver assistito all’omicidio. Dovevamo trovare una soluzione per far capire che de Fourville aveva ucciso gli amanti prima di uccidere se stesso – un suicido che non era previsto nel romanzo. Adattare è appropriarsi prima di tutto dell’opera. Purtroppo l’inconveniente di questo tipo di operazioni è che molte persone ricordano la successione dei fatti del romanzo. Ma devi essere libero di creare un intreccio cinematografico che connetta tutti gli eventi più importanti della storia che erano essenziali nel romanzo.
La struttura del film è differente da quella del romanzo.
Lo stravolgimento più grande è il miscuglio di epoche. Gli sbalzi in avanti, i flashback, i flashback all’interno di altri flashback… andare avanti e indietro nel tempo, tutte cose che non esistono nel romanzo, che sono una differenza importante. Questa struttura è molto diversa da quella dei miei film precedenti. Una struttura che riesce a restituire una sensazione dello scorrere del tempo molto più tangibile che se avesse seguito l’ordine cronologico. Il presente è portato alla luce dal passato e viceversa. Ogni cosa si congiunge nella mente di Jeanne, e l’effetto della somma, costruito su una ellisse, traduce il passaggio del tempo. Passiamo da un momento della vita ad un altro, come la mente che passa da un ricordo all’altro. In ogni istante la mente mixa il presente con il passato. In fin dei conti l’esistenza non è una successione cronologica di eventi come a noi piace pensare. Dobbiamo costruire una “millefoglie” per restituire il senso di quello che Maupassant cerca di raccontarci con la sua penna da scrittore.
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