Dopo l’opera prima A Girl Walks Home Alone at Night,la regista iraniana Ana Lily Amirpour presenterà oggi in Concorso alla 73. Mostra del Cinema di Venezia The Bad Batch, una feroce fiaba distopica ambientata in una desolata regione del Texas in cui alcuni reietti della società cercano di sopravvivere. Protagonista un grande cast da composto da: Suki Waterhouse, Jason Momoa, Keanu Reeves, Jim Carrey e Giovanni Ribisi.
In una distesa desolata del Texas una comunità di cannibali vive in una realtà quotidiana post-apocalittica. I protagonisti sono Miami Man (Jason Momoa), Arlen (Suki Waterhouse), Jimmy (Diego Luna), The Dream (Keanu Reeves) e The Heremit (Jim Carrey). La Amirpour mette in scena una comunità di cannibali con regole di convivenza e dedita a “normali” faccende quotidiane, come mangiare, parlare e persino amare. Finché qualcuno non sorpassa i limiti consentiti. Ne esce una radicale e spaventosa immagine degli emarginati d’America, che esplora i limiti della sopravvivenza e della comprensione umana. Una storia cupa, accompagnata da una colonna sonora imponente. Un pellicola epica, un western psichedelico, un racconto pop e fatato ambientato in un deserto sconfinato popolato da uomini-mangia-uomini che, da reietti della società, hanno adottato questo stile di vita.
Ana Lily Amirpour vede il suo film come una lettera d’amore all’America che si annida dentro ad un moderno spaghetti western: “è un western psichedelico perchè non è situato nel Wild West, è più moderno, più di questi tempi, anche se richiama in qualche modo gli anni ’90 e ’80 e anche gli anni ’70”. Per la regista, “la cosa strana dell’America è che se si esce dalle grandi città, ci si trova in terre sconfinate: se lasciate una grande città e guidate anche per mezzora, o due ore, vi ritroverete in qualche strana cittadina che sembra essere bloccata in qualche decennio passato”.
Secondo film in gara oggi è Une Vie (A Woman’s Life, foto copertina) di Stéphane Brizé, ambientato in Normandia, nel 1819. Quando ritorna a casa dopo aver ricevuto un’educazione in convento, Jeanne Le Perthuis des Vauds (Judith Chemla) è una giovane donna, ingenua e piena di sogni infantili. Sposa Julien Delamare (Jean-Pierre Darroussin), un visconte locale, che si rivela presto un uomo avaro e infedele. A poco a poco le illusioni di Jeanne svaniranno. Questa è la storia di un lutto impossibile, quello del paradiso perduto dell’infanzia. Un film storico che racconta il percorso di Jeanne, tra i suoi 18 e 45 anni: la storia di una donna sensibile, troppo protetta e in cerca di emozioni, ma incapace di far fronte alla brutale realtà del mondo.
Nel film, Jeanne le Perthuis des Vauds, che in seguito al matrimonio con Julien diventerà Jeanne de Lamare, entra nella cosiddetta vita “adulta” senza aver mai affrontato la perdita di quel paradiso che è l’infanzia, quel momento dell’esistenza umana in cui ogni cosa sembra perfetta. Per Stéphane Brizé è “quel momento in cui gli adulti sono coloro che sanno tutto, coloro che ci dicono di non mentire e, dunque, loro stessi non mentono mai – o così crediamo. In quel momento si vedono le cose senza uno sfondo. Poi, con il passare degli anni, questo ideale diventa più sfumato trasformandosi talvolta in disillusione”.
Per impedire tale processo è necessario acquisire strumenti protettivi: “si devono comprendere i meccanismi che governano i legami fra le persone e mantenere la giusta distanza in modo da evitare una delusione profonda quando si constata la brutalità dei rapporti umani”. Jeanne non vuole, non può o non sa come far evolvere il suo concetto di vita: “questo la rende una persona speciale, è una creatura meravigliosa, rara, perché la sua mente è priva di secondi fini. Ciò detto, proprio l’aspetto che la rende tanto affascinante è al contempo la sua condanna”.