Dal 7 aprile è nelle sale Vetro, l’opera prima di Domenico Croce, un thriller mentale e claustrofobico che ha come protagonisti Carolina Re, Tommaso Ragno e Marouane Zotti.
Il film
Lei (Carolina Re) è una ragazza che da un tempo indefinito non esce dalla propria stanza. Vive con il suo cane e con suo padre (Tommaso Ragno), al quale però non è concesso di varcare la soglia della sua stanza. La rigida routine che scandisce le sue giornate viene interrotta quando, osservando dalla finestra, si convince che nel palazzo di fronte una donna sia tenuta segregata, e inizia così a combattere tra il desiderio di salvarla e l’impossibilità di uscire dalla propria prigione. Durante la sua indagine conosce un ragazzo più grande (Marouane Zotti) con il quale inizia una relazione on-line, fatta di chat e videochiamate, e che sarà suo complice nel capire cosa stia succedendo realmente nel palazzo di fronte. Ma dietro un vetro non tutto è davvero come appare.
Domenico Croce racconta…
“Vetro è un racconto sulla capacità di restare aggrappati a se stessi quando gli affetti intorno scarseggiano. Per questo motivo ho deciso che il punto di vista migliore sarebbe stato quello della “forza interiore” della protagonista: come un personaggio invisibile a volte alleato, altre distratto, che osserva silenziosamente ogni suo movimento e spesso si mette in gioco per lei. Si tratta di un film di genere, tuttavia l’embrione narrativo si prestava anche a innumerevoli soluzioni sperimentali. Dunque, sin da subito è stato chiaro che il film reclamasse un “mondo” all’interno del quale esistere”.
“Carolina Re è la Prima Cittadina di questo mondo e la sua scelta ha contribuito enormemente alla nascita dell’ambiente intorno a lei. La sua energia espressiva, insieme a una sana dose d’imperscrutabilità, mi hanno progressivamente convinto su un uso sovversivo dei colori, nascondendo dietro la loro vividezza misteri e realtà tutt’altro che rilassanti. Ho quindi iniziato a raccogliere tutte le suggestioni che mi riportassero a un’idea di trasfigurazione (trasparenze, riflessioni, esistenza del doppio ecc.) e le ho filtrate attraverso le regole del thriller psicologico”.
“Il procedimento è stato laborioso, ma questo continuo confronto con il genere a cui il film appartiene, incentivato dalle intuizioni e dal gusto dei collaboratori, insieme al lavoro che la stessa attrice ha restituito sul set, sono i principali attori che hanno portato alla creazione del “mondo” che vedete nel film. Il ritmo stesso è in qualche modo sovversivo e contribuisce a creare sensazioni di spaesamento e continua scoperta, collaterali a quella della protagonista. Il sound design e la musica, infine, non sono altro che la voce di quella stessa “forza interiore”: fenomeni come quello degli hikikomori si nutrono di oscurità e in queste realtà senza luce spesso il suono (anche il più semplice, come una voce umana) e la musica sono le uniche armi con cui difendersi“.
“Tutto ciò porta all’incontrastata importanza del fuoricampo, che ho deciso letteralmente di filmare (un po’ come si fa nei cartoni animati, inquadrando il vuoto) per renderlo plasmabile e continuamente altalenante, tra un senso di nostalgia e ostilità. Naturalmente il cinema hitchcockiano, e la sua logica, insieme al gusto sensoriale del cinema giapponese e sudcoreano sono tra gli ingredienti più importanti del film, ma in Vetro ho sentito la possibilità di mixare e esplorare molto. Ho seguito il mio istinto restando sempre aggrappato alla mia unica bussola: la storia che Lei mi stava silenziosamente raccontando“.