In occasione dei 25 anni di carriera, l’artista Vinicio Capossela approda sul grande schermo solo il 19 e il 20 gennaio (elenco sale su nexodigital.it) con Nel Paese Dei Coppoloni, un viaggio onirico e imprevedibile alla ricerca di personaggi, canti e siensi perduti. Un ponte tra le pagine del suo omonimo libro e le musiche di Canzoni Della Cupa il prossimo disco di inediti di Vinicio Capossela (in uscita a marzo 2016) da cui è estratta la colonna sonora del film diretto da Stefano Obino.
Nel Paese dei Coppoloni è un viaggio cinematografico – geografico, musicale e fantastico – narrato, cantato e vissuto in prima persona da Vinicio Capossela, in un territorio di culture, racconti e canti. Un mondo che la Storia ha seminterrato, ma che fa sentire l’eco e il suono se gli si presta orecchio e ci si dispone al sogno. Il film si svolge in Alta Irpinia, in “quelle terre dell’osso” in cui “un paese ci dice di tutti i paesi del mondo”, tra trivelle petrolifere e case abbandonate, pale eoliche e vecchie ferrovie, boschi, animali selvatici e paesaggi incontaminati.
Sono questi i luoghi in cui l’ispirazione letteraria e musicale di Vinicio Capossela è diventata realtà, restituendo il ritratto di un’Italia forse perduta e dimenticata, ma che ancora oggi vuole raccontare la sua storia e la sua energia: le voci, i volti, i personaggi, le tradizioni popolari, gli sposalizi, le musiche che percorrono le vene dei sentieri della Cupa, le litanie delle mammenonne, le cumversazioni in piazza, le chiacchiere dal barbiere, le passeggiate sui sentieri dei muli, la Natura selvaggia e resistente. Un luogo immaginario che diventa reale, uno spazio fisico che si trasforma in pura immaginazione.
Questo film è nato per fornire qualche indicazione in più al lettore avventuratosi per i sentieri delle pagine del libro. Questo perché la macchina da presa “parla un linguaggio diverso – come spiega Vinicio Capossela – pratica uno sguardo in cui possono entrare in campo paesaggi ed espressioni della terra, che è il vero basso continuo di tutto”. Ed è proprio la Terra al centro dell’immagine: “una terra selvatica ancestrale, incurante, abituata a scrollarsi di dosso l’uomo e le sue opere effimere, l’uomo che la va molestando di continuo per estrarle dal seno qualche bene, e che esaurito il beneficio la lascia in abbandono”.
Una terra capace “di imprimere sempre la lastra in maniera decisa, i suoi cieli separati dalla terra, sempre in movimento, i suoi scuotimenti di vento, e dove non basta, le facce di quella terra, la lingua di quella terra, la musica che affiora da quella terra”. Per Capossela, non c’è niente di unico: “tutto il nostro paese corre sul filo di queste voci”. Si tratta di fermarsi ad ascoltarle queste voci, “dare loro il tempo, per presentire il gigantesco che si nasconde dietro al minuscolo”.
“I canti sempre percorrono la terra e cambiano pelle e lingua, ma non il moto d’anima che li ha generati”, dice il Cantore Errante. Di essi rimane soprattutto la storia che vanno cantando. Nel film, Capossela cerca di rendere in canzone queste storie. Per l’artista, Il Paese Dei Coppoloni non è “né un documentario etnoantropologico sulla musica della terra, né un film documentario sull’Irpinia, attuale o passata che sia”.
In realtà “è un lavoro in forma di documentazione visiva, sul tentativo effettuato da un cercatore, che usa il linguaggio della scrittura e della canzone, di rielaborare in un immaginario mitico una terra di appartenenza, una terra attraversata da viandante, non da residente, affinché le domande – Chi Siete? A Chi Appartenete? Cosa Andate Cercando? – possano risuonare urgenti come proprie, nelle orecchie di chiunque abbia deciso di seguirlo sullo stesso cammino”.
Per il regista Stefano Obino il film “è un viaggio reale nell’assurdo, documentazione di posti e luoghi che, una volta lasciati, stenti a credere di aver attraversato e conosciuto”. Realizzarlo e dirigerlo è stato “come vagare dentro le pagine del libro o camminare sui pentagrammi delle nuove canzoni di Capossela, canzoni che nascevano, risorgevano e crescevano più velocemente di quanto potessimo essere rapidi noi nel catturarle”.
“Chi eravamo, cosa volevamo, cosa andavamo cercando, forse non lo abbiamo ben capito. Ma navigare questo mare, alla ricerca dell’inutile, è stata esperienza indimenticabile”.
Stefano Obino