A poco più di quindici anni dalla sua scomparsa è uscita in libreria Mattatore – Vita e Parole di Vittorio Gassman, una accurata biografia – edita da Bradipolibri – sull’indimenticabile attore italiano scritta dal Professore Roberto Bosio. Un volume, corredato anche da splendide immagini, in cui viene ripercorsa tutta la vita di Gassman, un uomo perennemente in scena e sotto i riflettori – nello spettacolo e nella vita – ma in realtà molto fragile, sensibile e pieno di paure. Per scoprire chi era il vero Vittorio dietro alla maschera forte e virile del Mattatore, abbiamo intervistato l’autore del libro, Roberto Bosio.
Attraverso il suo Mattatore ci racconta la vita di Vittorio Gassman soprattutto attraverso le sue stesse parole. Iniziamo dal principio: “sono nato bugiardo, e in più ho scelto il mestiere della falsificazione programmatica”. Com’è stata l’infanzia di Vittorio?
Io direi che sia necessario distinguere l’infanzia di Vittorio Gassman dal momento in cui ha scelto la carriera di attore, e quindi il “mestiere della falsificazione programmatica”. Il Mattatore ha avuto un’infanzia felice, in cui lui pensava a tutto meno che a diventare un attore. La sua vita subisce un primo scossone con la morte del padre – Vittorio aveva 14 anni –, un evento che secondo il racconto del Mattatore “divenne pretesto per la mia vocazione. Lo superai con la fantasia, con il distacco, cioè col vivere lo stesso rito del funerale di mio padre come un gioco e come una rappresentazione di cui ero protagonista”.
Gran fisico, alto e possente, è superiore a tutti “per passione e volontà”. Pallacanestro, Calcio, Atletica, Scherma. Se non avesse fatto teatro e cinema avremmo sentito parlare di un Gassman attore protagonista nello sport? Quanto la disciplina sportiva dell’allenamento (la voce, i movimenti, …) gli è servita anche per riuscire in campo artistico?
La sua passione sportiva è intimamente legata a quella artistica. Si è allenato per anni per trasformare la sua respirazione, la sua voce ed il suo modo di muoversi per trasformarsi nel grande attore che tutti conosciamo. Il suo passato da cestista gli è stato utile in vario modo: l’ha travasata in alcune sue esperienze teatrali ed ha affrontato il suo mestiere come fosse una partita da vincere a tutti i costi. Sul tema aggiungerei anche un aneddoto: il suo passato da cestista gli permetteva di lanciare una scarpa dalla platea e centrare il malcapitato attore oggetto dei suoi strali.
Un enorme numero di spettacoli, soprattutto interpretati, ma anche diretti, scritti o scelti e proposti al pubblico, anche con le compagnie da lui fondate. Come si può descrivere la prima parte della carriera teatrale di Vittorio Gassman?
Il teatro ha rappresentato il centro dei suoi interessi per la prima parte della sua carriera. Il suo debutto avviene nel 1943 e fino a I Soliti Ignoti rappresenta il fulcro della sua attività artistica. In particolare dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando entra a far parte della compagnia di Luchino Visconti e interpreta ad esempio interpreta Kowalski in Un Tram che si Chiama Desiderio di Tennessee Williams. Di questo periodo vale la pena anche di ricordare il suo Amleto, è con ogni probabilità la prima versione completa rappresentata in Italia, il Kean di Dumas padre – adattato da Jean Paul Sartre –, che ritorna in diverse occasioni nella sua carriera teatrale, ed il Teatro popolare italiano. All’inizio degli anni Sessanta il Mattatore decide di mettere in piedi un progetto faranoico – che gli farà perdere un sacco di soldi -: un enorme circo teatro che si rivela subito troppo complicato da muovere. Per questo la sua compagnia affitterà il tendono di un circo tedesco per girare l’Italia e portare il teatro nei centri minori.
Che ruolo ha giocato invece il teatro nei suoi ultimo anni?
Negli ultimi anni della sua vita il teatro ritorna ad essere la sua attività principale – per quello che il suo fisico gli permette. Sono gli anni dei tanti recital portati in giro per il mondo. È il campo dove può lasciare più spazio al fatto che crede “di essere leggermente schizofrenico e qualche dottore me l’ha anche detto, con delicatezza. D’altra parte, questo fatto della schizofrenia io ho finito per accettarlo e l’ho addirittura vanificato, ogni tanto, per spenderlo in termini teatrali”.
Com’è avvenuto il passaggio dal palcoscenico al cinema? Riferendosi ai tutti i suoi primi film, Gassman disse che “erano tutte boiate”: come fu il suo primo periodo cinematografico, anche ricordando la parentesi americana?
Per quindici anni Vittorio Gassman finisce per essere intrappolato essenzialmente in ruoli di belloccio o cattivo. Lui non capisce che il cinema è un mezzo diverso da quello del teatro e quindi deve adattare la sua recitazione, e soprattutto odia i copioni che gli vengono proposti – gli tocca fare truci personaggi coinvolti nella tratta delle bianche, recitare tra colonne di cartone, vestito di pelli e di cinture di cuoio. La situazione non cambia quando finisce ad Hollywood a causa della sua storia con Shelley Winters.
Negli States finisce per accettare “per pura avidità di denaro e di successo oltreoceanico” un contratto settennale della MGM. E così deve girare film dimenticabili come Sombrero, in cui finisce per cantare canzoni in piscina con la bocca sotto l’acqua, suona la chitarra e finisce anche per cucinare gli spaghetti – muore poi nell’ultima scena perché interpreta il ruolo di un conte messicano affetto da cancro. Alla fine questi film rappresentano l’occasione per farsi un bel gruzzoletto e sfruttare la visibilità che garantiscono per i suoi progetti teatrali.
Perché I Soliti Ignoti gli cambiò la vita? Quanto fu importante per lui l’incontro con Mario Monicelli?
Mario Monicelli è il primo regista che gli propone un ruolo diverso da quelli soliti. Quello del borgataro Peppe er Pantera, il capo della scalcagnata banda de I Soliti Ignoti. Per questa sua scelta deve combattere per un anno con il produttore del film, che alla fine gli dà il via libero solo perché trasforma la faccia del Mattatore in una maschera – che resterà invariata anche per le commedie successive – e lo affianca ad altri attori che dovrebbero garantire comunque un buon risultato al botteghino. Il regista toscano è importante nella carriera del Mattatore anche perché gli proporrà anche lo straordinario l’Armata Brancaleone, un film che poteva avere solo lui come interprete principale, e soprattutto perché durante I soliti ignoti gli spiega anche come deve cambiare la sua recitazione per essere più efficace visti i tempi del cinema.
Altro sodalizio artistico importante è invece quello con Dino Risi…
Un ruolo altrettanto, se non più importante, per la sua carriera cinematografica, lo svolge Dino Risi. È il primo regista che usa la sua faccia in una commedia, e sarà anche il primo ad ottenere un grande successo, proponendo al Mattatore un ruolo diverso, quello di Fausto Consolo, l’ufficiale cieco di Profumo di Donna. L’ultimo regista della sua carriera cinematografica da ricordare è Ettore Scola, che lo dirige in film come C’eravamo Tanto Amati, La Terrazza ed in uno degli ultimi film in cui compare il Mattatore: La Cena.
Tante storie, avventure, promesse di vita, liti, separazioni, stracci che volano. Come si può definire il rapporto tra Vittorio Gassman e le donne?
Lui dice di essere stato sempre sedotto ed al momento giusto abbandonato. D’altra parte – soprattutto in età matura – ha ammesso buona parte dei suoi difetti. Per esempio che la sua seconda moglie Shelley Winters lo incontrò nel periodo più egoistico della sua vita. O che negli ultimi mesi della gravidanza dell’attrice Usa – dalla loro relazione nacque Vittoria – lui era a Roma a passare le nottate in un night club in cui aveva storie con uno stuolo di femmine… O ancora ha raccontato di altre avventure nelle sua casa di Roma mentre era legato a Juliette Mayniel, la madre di Alessandro.
O in compagnia di una donna o circondato da amici in feste che organizzava spesso a casa. Si può dire che Vittorio Gassman aveva un disperato bisogno di non restare mai solo?
Io credo che la morte del padre abbia rappresentato un grosso trauma per il Mattatore. Vittorio Gassman era ossessionato dalla morte e credo che abbia combattuto le sue paure mostrando una vitalità spesso esagerata.
In scena e all’apparenza un sicuro di se, spesso irruente, forte, addirittura “antipatico”. In realtà un uomo inquieto e impaurito, che soffre di sonnambulismo, che ha bisogno di protezione. Quanto è pesata nella sua vita questa maschera di “Mattatore”?
Per rispondere a questa domanda citerei quello che diceva Mario Monicelli: “ho sempre pensato che l’immagine forte, autorevole, positiva, sempre capeggiante che Vittorio offriva di sé, fosse un artificio edificato in nome della sua enorme insicurezza. Era come se vivesse nel timore che la terra gli mancasse sotto i piedi da un momento all’altro. Strafaceva per nascondersi”. Alla fine la depressione gli è “nata dentro dal contrasto col personaggio che s’era costruito. Era il prezzo della sua verità”.
Nel primo anno di “Vittorio Gassman Racconta”, porta in scena Kean, Genio e Sregolatezza. Quanto è autobiografica (o simbolica) la figura di Kean con tutti i suoi eccessi, dalle donne all’alcool, dalle fragilità alle intemperanze?
In comune con Kean aveva due cose: la passione per l’alcool e l’essere stato un grande attore. Per il resto erano molto diversi. Vittorio Gassman fu subito baciato dal successo, mentre Kean a teatro dovette affrontare diversi insuccessi. La presenza scenica dei due attori era molto diversa, e Kean vede morire il suo figlio prediletto… Dimenticavo che un’altra cosa che avevano in comune era il voler morire sul palcoscenico (il Mattatore pensava che avrebbe fatto meno male, e che gli sarebbe venuto meglio).
Dietro e dopo il successo si avvicina la “brutta bestia”. Anche nei suoi occhi nella copertina del libro si vede lo sguardo di un uomo malinconico. Come sono stati gli ultimi anni di Gassman?
Gli ultimi anni del Mattatore sono stati tragici. Vedeva morire tutti gli amici e i compagni di avventura di un tempo. E si doveva confrontare con il suo progressivo decadimento fisico – influenzato anche dagli eccessi, ha fumato e bevuto decisamente troppo per decenni. Doveva combattere con la sua più grande ossessione – quella della morte – e lui per sconfiggerla aveva anche pensato di farsi imbalsamare: “già m’immagino: impagliato come un gufo, in salotto. Magari con un nastro registrato dentro che mi fa salutare gli ospiti. Un po’ macabro? Forse, ma un bello sberleffo alla morte”.
Le chiedo i suoi tre film preferiti con Vittorio Gassman e perché.
Facile. I Soliti Ignoti. Il film è del 1958 ma grazie ad una sceneggiatura perfetta è ancora godibile oggi. Il Sorpasso il ritratto più fedele dell’Italia degli anni Sessanta, e L’Armata Brancaleone, un film geniale che sarebbe potuto uscire solo nell’Italia degli anni sessanta.
Intervista di Giacomo Aricò