Presentato in Concorso al 70° Festival del Cinema di Berlino, mercoledì 4 marzo arriva nelle sale Volevo Nascondermi, il film diretto da Giorgio Diritti che si ispira alla figura di Toni Ligabue (1899-1965). A vestire i panni di questo artista particolare e unico, è stato Elio Germano fresco vincitore dell’Orso d’Argento come Miglior Attore Protagonista alla Berlinale.
Il film
Toni (Elio Germano), figlio di una emigrante italiana, respinto in Italia dalla Svizzera dove ha trascorso un’infanzia e un’adolescenza difficili, vive per anni in una capanna sul fiume senza mai cedere alla solitudine, al freddo e alla fame. L’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati (Pietro Traldi) è l’occasione per riavvicinarsi alla pittura, è l’inizio di un riscatto in cui sente che l’arte è l’unico tramite per costruire la sua identità, la vera possibilità di farsi riconoscere e amare dal mondo. “El Tudesc,” come lo chiama la gente è un uomo solo, rachitico, brutto, sovente deriso e umiliato. Diventerà il pittore immaginifico che dipinge il suo mondo fantastico di tigri, gorilla e giaguari stando sulle sponde del Po. Sopraffatto da un regime che vuole “nascondere” i diversi e vittima delle sue angosce, viene rinchiuso in manicomio. Anche lì in breve riprende a dipingere. Più di tutti, Toni dipinge se stesso, come a confermare il suo desiderio di esistere al di là dei tanti rifiuti subiti fin dall’infanzia. L’uscita dall’Ospedale psichiatrico è il punto di svolta per un riscatto e un riconoscimento pubblico del suo talento. La fama gli consente di ostentare un raggiunto benessere e aprire il suo sguardo alla vita e ai sentimenti che sempre aveva represso. Le sue opere si rivelano nel tempo un dono per l’intera collettività, il dono della sua diversità.
Giorgio Diritti racconta…
“Toni Ligabue nacque in Svizzera ebbe un’infanzia travagliata fino a quando, espulso e giunto in Italia, visse da reietto nei boschi fluviali della Bassa padana. Brutto, deforme, fu pittore primitivo che dopo la morte raggiunse fama mondiale. Nella sua immensa solitudine popolata da incubi, Ligabue percepiva energie invisibili e amplificava la realtà dei sensi dipingendo una giungla feroce, con tigri, leoni e gorilla. Nel farsi lui stesso animale, riconosceva energie superiori. Morte e vita pulsano nei suoi quadri“.
“Toni, definito allora e spesso anche oggi come matto, è stato soprattutto un bambino rifiutato più volte, nato con problemi fisici che lo hanno reso reietto, che hanno causato la sua emarginazione e probabilmente anche i suoi disturbi psichici. Un uomo capace però di esprimere, nella specificità dell’arte, un talento incredibile, un punto di vista sulla vita, forte e originale. Si è avvicinato alla pittura sprovvisto di ogni tecnica pittorica, senza conoscere Van Gogh e i Fauves a cui le sue opere sembrano in parte relazionarsi. I suoi quadri esprimono uno sguardo particolare sulla vita, la raccontano come una continua lotta per non soccombere e contengono un forte desiderio di riscatto. Le sue sculture non sono solo realistiche ma esprimono intense pulsioni vitali“.
“I suoi autoritratti sono la fotografia del suo stato d’animo e nel suo volto, con piccoli mutamenti di espressione a ogni opera, gli occhi rivolti all’osservatore interrogano, chiedono un ascolto, un riconoscimento, un segno di affetto. Come per ogni uomo nella vita, è capitato anche a Toni di sentirsi inadeguato, sbagliato, sconfitto ed il primo istinto anche per lui in quei momenti è stato il desiderio di nascondersi, di uscire dal mondo. Rileggendo il percorso della sua vita, appare evidente quanto il suo essere visto come “diverso” sia l’origine di molte delle sue sofferenze ma anche il nucleo generativo della sua identità artistica e del suo successo“.
“La storia di Toni Ligabue ha intrinsecamente un forte valore spettacolare per le straordinarie vicende che hanno caratterizzato la sua vita e offre inoltre, tramite il suo percorso, un’importante riflessione sul valore della “diversità”. Ogni persona ha una specificità preziosa che, al di là delle apparenze, può essere un dono per l’intera collettività. “…se sono diverso da te vuol anche dire che posso darti qualcosa che tu non conosci…” questo ricordo di essermi sentito dire da un ragazzo disabile anni fa“.
“Quella di Toni è una “favola amara” in cui costantemente emerge un grande attaccamento alla vita, la capacità di non mollare mai. Resiste alla solitudine, al freddo, alla fame vivendo per anni in una capanna sul fiume, supera tante umiliazioni, comprese le degenze in istituti rieducativi e in manicomi. La storia di Ligabue incanta e interroga, e mette di fronte alla apparente contraddizione tra una fisicità sgraziata, una mente velata da una moderata follia e un talento luminoso che a lungo rimane nascosto e che quando finalmente viene alla luce diventa uno straordinario elemento di costruzione dell’identità e l’occasione, sognata, attesa, cercata, di riscatto“.
“Pur in una dimensione di realismo e attinenza alla verità, il film vuol trasferire in sottotraccia la sensazione di “favola nera” che accompagna la vita di Toni e di cui lui stesso incarna, in un certo modo, i codici a partire dal vestire; nel modo di esprimersi, gesticolare, muoversi. Anche il mondo che lo circonda richiama gli archetipi della fiaba in cui si possono riconoscere figure esemplari come la matrigna e il padre “orco”, il direttore del collegio, i ragazzi cattivi che lo prendono in giro, gli adulti che lo deridono. Una volta diventato adulto, poi, attorno a lui si muove un coro di personaggi – i paesani – perlopiù respingenti, alcuni surreali e fiabeschi a loro volta, ma in cui via via emergono alcune figure amiche che saranno fondamentali per il riscatto di Toni. Ligabue richiama anche alcune caratteristiche dei personaggi dei film di Chaplin che, in fondo come lui, sono in lotta per un posto al sole nella società“.