Foto di Simone Cecchetti

Wasted, il testo di Kate Tempest a Roma con Giorgina Pi

Foto di Simone Cecchetti

Dal 14 al 26 gennaio al Teatro India di Roma Giorgina Pi, tra i fondatori del collettivo Angelo Mai di Roma, porta in scena Wasted, testo di Kate Tempest, artista esplosiva che mescola rap, poesia, politica e musica dando vita a uno stile unico, grazie al quale è diventata un’icona della contestazione giovanile, un’icona della contestazione giovanile per la scena culturale inglese.

(Foto di Luca Del Pia)

(Foto di Luca Del Pia)

Kate Tempest

Dopo aver lavorato su Caryl Churchill, Giorgina Pi, continua la sua ricerca sulla scrittura di donne rivoluzionarie della letteratura inglese contemporanea. Figlia di una maestra e di un operaio, cresciuta a Brockley, sobborgo del sud-est londinese nel 1985, Kate Tempest si è esibita per la prima volta a sedici anni; appena trentenne ha già vinto il Ted Hughes Award e lo scorso luglio è salita sul palco al Festival di Glastonbury. Con la sua voce racconta di una generazione sofferente, divisa tra ambizioni e sogni infranti. Le strade della città, che per la Tempest sono sempre quelle della sua Londra, diventano il luogo letterario dove musica, poesia e politica si incontrano e dove prendono vita individui duri e fragili allo stesso tempo. Droga, disoccupazione, nichilismo, ma anche prospettive negate e scontentezza sono al centro delle sue creazioni artistiche, come accade anche in Wasted.

Giorgina Pi racconta…

Un’opera concepita in una lingua proteiforme che è poesia, flussi di coscienza, musica e squarci di minuta quotidianità. Un coro d’ispirazione antica, interpretato dagli stessi personaggi ci restituisce l’umanità rarefatta che l’espressione “Wasted”, polisemica e intraducibile, contiene. Persi e consumati, i protagonisti di questa storia ci trascinano in quella Waste Land che è diventata la nostra vita, un deserto dove mai abbastanza giovani e mai abbastanza vecchi, sembriamo destinati a non essere mai all’altezza. In scena tre personaggi, tutti appartenenti a quella fascia di società cresciuta pensando che cambiare la propria condizione iniziale fosse impossibile o così difficile da togliere forza persino alla fantasia che ciò accadesse. Figli di una working class, che si immagina destinata a rimanere tale, muoiono ogni giorno. I due uomini e la donna protagonisti di Wasted commemorano il decimo anniversario della scomparsa del loro più caro amico: assemblano ricordi, tentano bilanci ma non riescono a salvare nulla di ciò che hanno vissuto. Abbiamo scelto di trasformare la Londra dell’autrice in un mondo meno connotato, abbiamo concentrato la dimensione temporale in dodici ore e scelto quattro pareti con chitarre e bassi come motore della storia. E allora dal tramonto all’alba, in una città qualunque, a partire da una sala prove, confessioni ed errori, chitarre e pezzi arrangiati e interrotti mille volte, si confondono con bilanci, droghe e tentativi mancati di essere finalmente se stessi. Prove che non diventano mai un concerto, principianti esclusi e soli. Ma continuano, per come possono, a provare“.

(Foto di Luca Del Pia)

(Foto di Luca Del Pia)

Hold Your Own – Resta Te Stessa – è il famoso verso di Kate Tempest diventato poema e discorso pubblico in Inghilterra interpretato di fronte a centinaia di migliaia di persone. E Wasted è il momento esistenziale che lo precede, è il disperato passo indietro per caricare l’impeto della rincorsaQuesto spettacolo vuole onorare le esistenze che si sentono sprecate, il dolore che si prova quando ci si sente condannati all’ineluttabilità di una vita non scelta, predestinati a una condizione materiale e spirituale di infelicità. Kate Tempest è figlia di un operaio che quando lei aveva otto anni è riuscito con ostinazione a laurearsi in legge. L’esperienza positiva della sua vita l’ha incaricata a parlare e Wasted dà voce a una ferita diffusa che forse ha bisogno di essere nominata anche da noi, ora. Sprecati e soli ci ostiniamo nel tentativo di vivere il primo giorno del resto della nostra vita comunque. Non è facile. Ma lo facciamo. È il caso allora di farlo insieme.

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